Ettore Petrolini: sbeffeggiare la vita, la morte e la società. La potenza di una risata

Pubblicato: Venerdì, 29 Giugno 2018 - Fabrizio Giusti

petrolini.mamilio.jpgACCADDE OGGI – Morì il 29 Giugno 1936. A lui si deve la storica ‘Na gita a li Castelli’, ma anche personaggi straordinariamente moderni come ‘Nerone’

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"Adesso sì che so fritto". L'ironia di Ettore Petrolini non mancò fino agli ultimi giorni della sua vita, nemmeno quando arrivò a trovarlo il sacerdote, munito di olio santo, per impartirgli l'estrema unzione. Si spense all’età di 52 anni, il giorno di San Pietro e San Paolo, festa patronale della sua amata Capitale. “Ha voluto esse de Roma puro all'urtimo de la vita”, commentò Trilussa.

Petrolini fu il primo comico moderno, un abilissimo manipolatore del ‘nonsense’. Aveva un carattere complicato. E’ stato uno dei più feroci critici delle mode e della cultura un po' decadente e dannunziana che girava tra i salotti della sua epoca. Ne riprendeva i personaggi, i gesti di maniera, ne sbeffeggiava i divi. ‘Gastone’, ad esempio, era nato proprio per questo proposito. Aveva avuto un padre fabbro, un nonno falegname. Ed anche lui era stato artigiano di se stesso. Non aveva maestri, non ebbe eredi.

Tra riformatori e un’adolescenza abbastanza turbolenta, Petrolini debuttò in un café-chantant, il Gambrinus in piazza Termini, nel 1903, con lo pseudonimo di Ettore Loris. La sua gioventù o quella vista negli altri gli aveva ispirato la figura di ‘Giggi er bullo’. Si dimenava artisticamente, in quei primi anni, tra fenomeni da baraccone e un pubblico che buttava le bucce dei lupini sul palcoscenico. Egli inscenava la stupidità, ma era un metodo studiato per essere irriverente.

In pochi anni la sua popolarità crebbe smisuratamente. I salamini, le parodie, i trionfi in Sud America, Parigi, Londra, Berlino, Vienna. Marinetti di lui scrisse che il suo era ‘puro umorismo futurista’. ‘Egli – affermò - uccide con i suoi lazzi il non mai abbastanza ucciso chiaro di luna’. Ma Petrolini, con il suo stile, il futurismo teatrale lo aveva persino anticipato. Quando l’avanguardia artistica esplose nelle platee di mezza Italia, l'attore romano, nato in Via Giulia, si sentì a suo agio. I versi ‘maltusiani’ furono, ad esempio, una delle mode letterarie che gravitavano attorno alla rivista Lacerba, di Soffici e Papini. Lui li utilizzò per un'autocelebrazione caustica: ‘Petrolini è quella cosa /che ti burla in ton garbato,/poi ti dice: ti à piaciato?/se ti offendi se ne freg’. Il genere era detto "maltusiano" per una chiara allusione alle teorie di Thomas R. Malthus, sostenitore della necessità della limitazione delle nascite. Visto che il metodo anticoncezionale più ricorrente era il ‘coito interrotto’, certi versi avevano la caratteristica di concludersi, appunto, troncando l'ultima parola dell'ultimo verso.

Con il Regime fascista, che sopraggiunse quando lui era già un mito assoluto, non ebbe particolari problemi. Ebbe buoni rapporti con Galeazzo Ciano, Giuseppe Bottai o Italo Balbo. Corrispose con Mussolini. Molti critici hanno visto nel suo ‘Nerone’ una sorta di macchietta irrisoria della ‘romanità’ amata dal fascismo e persino della figura del Duce. Il personaggio, in realtà, era stato creato nel 1917 ed era stata pensato per burlarsi del potere e di chi se ne fa gloria, ma anche di certi filmoni storici in costume dell’era del muto. Sbeffeggiare e smitizzare era però il suo codice. Lo fece anche per le allusioni del caso Girolimoni, una terribile storia di omicidi di minori che aveva messo in allarme il regime e che colpevolizzò un innocente. Ottenne a Palazzo Venezia una onorificenza. “E io me ne fregio!”, esclamò, parafrasando il motto fascista ‘Me ne frego’. Se il Petrolini uomo ebbe dunque un rapporto tutto sommato mai contrario al regime, l’artista fu sicuramente poco convenzionale. E ne pagò le conseguenze sul piano dei riconoscimenti ufficiali. Non venne mai nominato, ad esempio, nell'Accademia d'Italia.

Gastone, Giggi er Bullo, Er sor Capanna, Fortunello furono tutte creature che gli consentirono di prendere in giro ogni strato sociale: il popolo, i borghesi, gli attori. In "Chicchignola” raccontò la storia di un uomo onesto che tirava avanti costruendo e vendendo giocattoli su un carrettino per le strade di Roma dopo un licenziamento. E’ una persona perbene, così i furbi e i mascalzoni lo reputano un cretino capace di subire ogni torto o inganno, fino ad essere tradito dalla propria amante, Eugenia, col suo migliore amico. L’opera descrive il degrado di una certa umanità, raccontando una perdita di valori generalizzata in cui inizia ad evidenziarsi l’ascesa dei mediocri sugli onesti.

Petrolini fu un grande monologhista, un notevole ricercatore di linguaggio e della mimica, un campione dell’acida e fastidiosa punzecchiatura che contribuì a rinnovare il gusto del pubblico. Una maschera potente, un inventore del cabaret moderno, un occhio vigile e sarcastico della società in cui viveva.

Costretto ad abbandonare le scene nel 1935 per una forma di angina pectoris, morì all'età di 52 anni il 29 giugno 1936. In punto di morte, racconta un aneddoto, alle parole incoraggianti di un amico che sosteneva di trovarlo meglio del solito, egli rispose: “Meno male, così moro guarito”. Una cultura popolare geniale.

Fu il protagonista di molti successi musicali. ‘Una gita a li castelli’, scritta da Franco Silvestri, raggiunse una grande popolarità, così come ‘Tanto pe' cantà’, che divenne immediatamente il ritratto di una certa romanità. Era un artista straordinariamente attuale, affascinato dagli altri. Pensava e faceva pensare. “Leggo anche dei libri, molti libri: ma ci imparo meno che dalla vita - disse- Un solo libro mi ha molto insegnato: il vocabolario. Oh, il vocabolario, lo adoro. Ma adoro anche la strada, ben più meraviglioso vocabolario”.