Sandro Penna, il poeta che voleva vivere ‘addormentato entro il dolce rumore della vita’

Pubblicato: Martedì, 12 Giugno 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - 12 giugno del 1906, nasce un raffinato e dirompente poeta.  Dalla vita difficile

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Considerato uno dei massimi poeti dello scorso secolo da Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini, Sandro Penna nella sua esistenza terrena non trovò mai la vera gloria o quello che viene definito superficialmente il 'successo'. La considerazione e la stima degli artisti, almeno quella, non gli mancò. Come tanti, solo dopo la morte conobbe un reale riconoscimento della sua opera.

Passò i suoi ultimi giorni in un equilibrio fragile, in un malessere toccante. Il grande artista Mario Schifano lo ritrasse in un docufilm intitolato ''Umano non umano''. ''Poesie non lo scrivo più da dieci anni – rivelò il poeta – faccio questa specie di commercio di quadri, ma al quarto piano... così non ci viene più nessuno''.

Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1964, Penna - che aveva sempre vissuto in una sorta di povertà - andò a vivere nella sua casa. Girava in automobile, con un cane lupo, nelle borgate e per Ostia. Visse un decadimento fisico precoce, perdendo i denti per una piorrea, rifiutando di indossare protesi. I sonniferi lo aiutavano a dormire. Non usciva quasi più. In questo tramonto, c'è una parte di ciò che ci vuole per comprendere la sua grandezza, la poesia di un’efficacia assoluta, di una sensibilità che varcava - nel suo stile immediato e anche scandaloso per la sua epoca - i luoghi comuni, le certezze, l'età in cui si vive, scavando nella vita e nelle sue bellezze o le sue tristezze. E’ stato, forse, l’ultimo poeta assoluto. Come Alda Merini. Come Valentino Zeichen. Poeti immersi dentro all’esistenza, estranei alle luci della ribalta.

Nacque a Perugia, il 12 giugno del 1906. La pubblicazione delle sue prime liriche, uscite nel 1932 su “L’Italia letteraria”, giunsero grazie all'amico Umberto Saba. Nel dopoguerra, poi, uscirono le opere più significative e conosciute: “Una strana gioia di vivere” (1956) e “Croce e delizia” (1958). Estraneo alle mode culturali e poetiche del suo tempo, dipinse, con i suoi paesaggi, le strade e le piazze di Roma, le sale buie dei cinema, i bar, la periferia, i giovani ragazzi. Morì nel settembre del 1977 in solitudine. Telefonava ai suoi amici, in un appartamento dove potevi trovare della spazzatura come una tela di Schifano. Fu un letterato difficile da catalogare. Il suo modo di esprimersi era fatto di brevi folgorazioni, scorci di vissuto, Roma. Era chiaro, comprensibile, ma semplice solo all'apparenza.

Nella sua condizione, nella sua diversità, non trascurò mai i ritratti, le occasioni, la bellezza, il buio della notte profonda o la luce più splendente, oppure come ''sorge sull'ultimo sudore il sole''. Rileggerlo è una carezza per l'anima. Ogni volta.

La vita è… ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.

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