Quando i marziani scesero sulla terra e ci lasciarono Johan Cruijff come regalo

Pubblicato: Sabato, 24 Marzo 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Il 24 marzo del 2016 la morte di un campione leggendario

ilmamilio.it   

Hendrik Johannes Cruijff non è stato soltanto un calciatore. In lui risiedeva l'idea di poter immaginare il campo da calcio come una superficie vastissima in cui sognare e fare qualsiasi cosa. Era la diversità, l'utopia che trovava applicazione, il mito di una generazione.

Giocando o allenando ha messo la fantasia e il rigore al centro del suo governo. Per certi aspetti tecnici ed universali, è stato il più grande di tutti. Gli è mancato il Mondiale, ma è stata la sua arte ad insegnarci che si può anche non vincere tutto e fare ugualmente la storia.

Un precursore, con il numero 14 sulle spalle, delle nuove numerazioni da gioco e della indefinibilità del ruolo nel calcio moderno. Fu il leader di una rivoluzione che dall’Olanda applicò quel modulo totale che ha trasfigurato la faccia e la mentalità del globo terrestre. Era un atleta alieno, che dava l'impressione di arrivare da un altro pianeta.

In quell’utopia, che sfiorì nella finale del 1974 con la rocciosa Germania di Beckembauer, il genio arancione rimase una scintilla anarchica dentro ad un meccanismo in cui tutti correvano per fare qualcosa e dove solo il suo genio, che schizzava improvvisamente in qua e là dribblando anche gli arbitri, faceva ciò che pensava e voleva, in mezzo a colpi di testa, affondi, spaccate, dribbling, tocchi di fino, creatività, praticità, unicità nell'agire. Tutto compresso dentro una sensibilità che lo faceva sembrare come un profeta.

La sua Olanda, l’Olanda di Michels, è stata anche un esempio di libertà, discontinuità con le vecchie regole, rock, maestosità della tradizione classica in un compendio di emozioni e spartiti inimitabili. Atleticamente instancabile, Johan non sprecava mai il fiato per nulla, per un metro buttato a vuoto. Correva a testa alta, palla al piede, poi ti mandava a prendere ortiche con un dribbling che durava la frazione di un secondo. E te lo ritrovavi distante tre metri, imprendibile. ''No direction home'', per dirla con Dylan. Un Nureyev in calzoncini e calzettoni. Un artista, il simbolo di tutta una generazione che nella sua chioma impazzita si rispecchiava e sognava di cambiare tutto. Perchè gli anni settanta, per chi lo sa e li ha vissuti, sono anche prima e dopo di Cruijff.

“In un certo senso, forse, sono immortale", dichiarò. I suoi gol, il suo modo di essere e di dividere, i suoi trofei hanno realizzato la profezia. A Barcellona, ad Amsterdam o in America, dove lo hanno visto giocare, si sono sentiti molto fortunati. Quando il marziano, il 24 marzo del 2016, ha lasciato di nuovo la terra, in verità non si è fermato nulla. Si è solo interrotto per un momento il battito. Il Profeta è solo tornato a riprendersi il suo posto. Nello spazio sconosciuto.