Michelangelo Buonarroti e le sue grandi imprese artistiche. Come il mondo cambiò con la scultura e la pittura di un genio

Pubblicato: Domenica, 18 Febbraio 2018 - Fabrizio Giusti

Risultato immagini per michelangelo buonarrotiACCADDE OGGI -  La morte del grande artista, il 18 febbraio 1564, nell'umile casa di Macel dè Corvi

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La volta della cappella Sistina, il Giudizio Universale, la Pietà del Vaticano, la Cappella Paolina, la tomba di Giulio II, Piazza del Campidoglio, la Cupola di San Pietro.  Quando Michelangelo Buonarroti (Caprese, 6 marzo 1475 – Roma, 18 febbraio 1564) morì a 89 anni nella sua casa studio in Mecel de’ Corvi a Roma, aveva già cambiato il mondo con le sue mani, il suo genio, la sua creatività.

Le stanze in cui abitò non ci sono più. Sono state rase al suolo nel 1902. E’ rimasta una lapide, che non viene nemmeno notata: “Qui era la casa consacrata dalla dimora e dalla morte del divino Michelangelo. SPQR 1871″.

Lo spazio di Macel de’ Corvi non sembrava neanche quello di un grande artista. Sorgeva in una rientranza all’imbocco dei Fori Imperiali, nei pressi dei ruderi del Foro Traiano. Una zona popolare, un casa senza lussi e sfarzi, con il laboratorio affiancato dal tinello e dalla cucina. C’erano due camere da letto e una cantina, un orticello e una stalla. Attorno i romani ci andavano a buttare le carogne degli animali. L’artista più ricercato del mondo visse come una persona umile per decenni. Era la sua comodità, non aveva altri interessi che portare a termine i suoi lavori.

Gli ultimi suoi giorni furono dedicati alla Pietà ‘Rondanini’, su cui si impegnò come studio ed esercizio personale, ove il Cristo deposto e la Vergine tendono a compenetrarsi e tenersi in piedi. Nel drammatico atto di sorreggere il figlio, riportandolo verso di sé, la morte sembra evaporare la sua sostanza finale per tornare invece al grembo materno, in un sodalizio tra principio e fine, di sintesi. L’ennesima idea straordinaria di un visionario della fede e dell’arte. Un concetto, quest'ultimo, che aveva animato l’artista molto presto, sin da quel 1495, quando a Firenze Savonarola, nel suo falò delle vanità, aveva iniziato a combattere l'arte e Michelangelo si era spostato a Roma.

Si era già capito da giovanissimo, nella Pietà ‘Vaticana’ (1497-1499), cosa sarebbe diventato negli anni a venire. Il Vasari ne celebrò la meraviglia scrivendo: “E’ un miracolo che un sasso, da principio senza forma nessuna, si sia mai ridotto a quella perfezione, che la natura a fatica suol formar nella carne”. Buonarroti si misurerà ancora sull’argomento con la ‘Pietà Bandini’ (destinata alla sua sepoltura). Anche qui il rapporto del figlio con la madre, in lui di grande importanza. Uomo senza famiglia, dal carattere difficile, solo, di tendenza omosessuale, in quella pietà si raffigura, nell’unico vero autoritratto, nella personalità di Nicodemo, il discepolo che dopo la crocifissione di Cristo aiuta la deposizione del cadavere del Salvatore nella tomba.

Un viaggio lungo, la vita di Michelangelo, passato per quella Firenze, capitale del mondo delle arti, città dove convogliarono gli ingegni della della scultura e della pittura di Cimabue, Giotto, Leonardo, di Donatello, dell’architettura del Brunelleschi. Michelangelo nasce qui, in chiave di artista e di uomo, con un talento che si manifestata sin da piccolo, poi si affina nella bottega di Domenico Ghirlandaio

Il Buonarroti aveva studiato in giovinezza nel Giardino di San Marco a Firenze, dove alloggiava lo statuario greco-romano della famiglia Medici. Lorenzo il Magnifico aveva pensato a questo posto come a una scuola ove, sotto la guida dello scultore Bertoldo, già allievo di Donatello, dovevano nascere scultori nuovi e di talento. Da queste osservazioni e da questi studi Michelangelo realizzò il Cupido dormiente, che il commerciante Baldassarre del Milanese rifilò al cardinale Raffaele Riario. La truffa fu scoperta, ma il religioso volle conoscere l’artista autore dell’opera. Inviò a Firenze il banchiere Jacopo Galli e gli commissionò una statua di Bacco, rappresentato come un giovane che barcolla sostenendo una coppa, mentre dietro di lui un satiro seduto approfitta per assaggiare l'uva. Opera di realismo e mito che dà il senso delle capacità innate di un grande innovatore.

Durante questo soggiorno romano, il cardinale francese Jean de Billheres gli commissiona La Pietà, intervento che più tardi sarebbe stata trasferito a San Pietro. La bellezza commovente dell’opera, l’unica che Michelangelo firmò, gli valse l’incarico da parte di Giulio II della Rovere di progettare la tomba del pontefice in San Pietro in Vincoli, un poderoso complesso scultoreo che lo occupò per molti anni. Giulio II è poi lo stesso pontefice che gli affidò l’impresa titanica della volta della Cappella Sistina (1508 – 1512), dove Sisto IV della Rovere aveva avviato un pensiero.

LA SISTINA - E’ qui, nel cuore della cristianità, che arte e religione si incontrano su livelli irraggiungibili. La Sistina è la grande sfida personale di Michelangelo. Un luogo che tutto insieme fa la storia dell’arte del quattrocento e cinquecento. Lì dove le storie di Mosè e di Cristo si guardano, si alternano il Perugino, il Botticelli, il Ghirlandaio, il Signorelli. E Michelangelo. Prima con la volta, poi con il Giudizio, inaugurato nel 1541.

Michelangelo cambia un cielo stellato e porta la rivoluzione. Il paradosso è che inizialmente era pervaso da forti dubbi. La Cappella pareva un’impresa ardua. Non credeva di essere all’altezza. Non era un pittore e pensava di non esserlo di cotanto spessore. Lo stanzone gli pareva un granaio: troppo grande. Eppure un pittore bravissimo lo era davvero, come testimonia il 'Tondo Doni', l’unica sua opera certa di pittura mobile. Poi si decide ed affronta la terribile sfida da solo. 300 figure, migliaia di metri quadri. Si rovina la salute, lavora sui ponteggi in posizioni scomodissime, sposta su quelle mura il mondo interiore e la fisicità, la spiritualità e storia della religione. Senza paesaggi, senza filtri. Con il corpo dice tutto. Il corpo che racconta il male di vivere, le aspirazioni, l’origine del mondo e la fine. “E’l pennel sopra il viso tuctavia / mel fa gocciando un ricco pavimento», scrive. Un commento bellissimo per raccontare un momento di esaltazione artistica incredibile.

Raffaello ne riconobbe il genio, e lo volle rappresentare inserendolo tra i filosofi della Scuola di Atene, sotto le sembianze di Eraclito. Michelangelo scrisse: “Mi fece anche un bel ritratto nel quale mi ritrovo in tutto e per tutto. Sembro assorto nei miei pensieri, indifferente alla scena che si svolge attorno. La mia corporatura robusta è quella che avevo nella realtà, la barba poco folta e biforcuta, i capelli folti ma che se ne andavano un po’ qua e un po’ di là. E già quell’Eraclito lì son proprio io. Guardante anche i piedi: proprio come scrisse il Vasari nella mia biografia son vestiti con “stivali di pelle sopra lo ignudo”. Come Eraclito non ero apprezzato dalla folla, sempre nemica dei migliori e ubbidivo alle leggi della ragione universale”.

Delle poche immagini che lo vedono ritratto, il Buonarroti ebbe anche a rappresentare se stesso nel 'Giudizio'. Il San Bartolomeo che presenta a Gesù la sua pelle scuoiata è la sua figura espressionista, surreale. La narrazione afferma che si dipinse in tal modo a causa dagli attacchi di Pietro Aretino, ma in quella porzione di capolavoro c’è in realtà lo stato d’animo di un uomo che si guarda attorno nella vastità della sua fatica quotidiana nel rappresentare quella Sistina a cui aveva donato tutto il suo impegno maggiore. “Dilombato, crepato, infranto e rotto / son già per le fatiche, e l’osteria / è morte, dov’io viv’ e mangio a scotto. / La mia allegrezza è la malinconia”, annota. Il Michelangelo che invecchia e che crea meglio non poteva giudicarsi, meglio non poteva spogliare la sua anima.

Quando il Giudizio venne scoperto si dice che Papa Paolo III Farnese si mise in ginocchio, spaventato e piangente di fronte alla netta crudezza di quella fine che tutti gli uomini, compreso lui, avrebbero prima o poi affrontato.

Buonarroti, al momento della morte, possedeva solo vestiti e fazzoletti logori, tre materassi, coperte di lana, vasi di rame ammaccati ed alcuni sacchetti pieni di monete d'oro. Non aveva mai speso e goduto parte del suo patrimonio in denaro. Neanche delle sue idee c’era molto attorno a lui: qualche disegno, cartoni, qualche abbozzo marmoreo, la Pietà Rondanini. Neppure la casa, dicevamo, resistette molto ai cambiamenti delle epoche che lo conobbero. Venne abbattuta per la costruzione dell'Altare della Patria. Oggi, chissà, la sua dimora farebbe più visite dell'importante Milite Ignoto.