Roberto ‘Freak’ Antoni, maestro senza registro. Un innovatore che saliva sul palco per rovesciare tutto

Pubblicato: Lunedì, 12 Febbraio 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Ricordo del fondatore degli ‘Skiantos’, morto il 12 febbraio 2014

ilmamilio.it -

Roberto ''Freak'' Antoni se n'è andato senza avvisare troppo, il 12 febbraio 2014. Aveva 59 anni. E’ stato un autore geniale e l'interprete del movimento artistico, politico e culturale che consegnò anima e parole al 'Movimento del ‘77', ma non solo. Non era esclusivamente un cantante o un paroliere, uno scrittore o un autore di aforismi. Era un fantasista, coraggioso e innovativo.

Fu animatore degli Skiantos, gruppo punk-demenziale amato anche da scrittori ed artisti come Pier Vittorio Tondelli o Andrea Pazienza (leggi L’inarrivabile Andrea Pazienza. Il fumetto, la satira e l'arte nella massima libertà di espressione).

Laureato all’Università di Bologna in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo (con una tesi sui Beatles), ha cercato sempre nella poliedricità la sua strada per guardare avanti. Gli Skiantos sono stati una colonna portante della sua storia, ma non di tutta la sua vicenda umana. Fu grazie a lui, comunque, che il fenomeno 'punk' italico trovò altri interessanti canali di lettura, i quali non sradicarono questo moto di rivolta dal suo terreno più fertile, bensì ne succhiarono il motivo principale, l’inciso, la natura profonda.

Gli Skiantos nella sostanza raccolsero gli echi di Londra e di New York e ne recitarono la parte più ironica. L’Italia non divenne così patria di creste e di bulloni (a parte qualche rarità), ma la roccaforte del “demenziale”. Il genere, creato ad arte soprattutto nella Bologna degli “Indiani Metropolitani” (leggi 17 febbraio 1977: la ''cacciata di Lama'' dall'Università. Uno spartiacque storico), si diffuse con profondità, lasciando segni evidenti fino ai nostri giorni. Si cercò, in sostanza, di individuare una via meno condizionata dalle megalomanie estere, dall’ideologia o da qualsiasi altra forma di subordinazione verso l’esterno. Nel codice genetico del rock demenziale c’era una felice anomalia: parlava una lingua gergale e arrivava ai giovani con aspetti ricavati dalla cultura metropolitana. Proprio Antoni ricordò in un'intervista: “In una notte invernale, dentro ad un’automobile coperta, c’inventammo la storia del rock demenziale: a) eravamo molto giovani. b) pioveva. c) forse erano le due o tre del mattino. d) per strada non c’era nessuno”.

Bastava un basso, una chitarra, una batteria e il gioco era fatto. La leziosità, come a Londra, fu messa da parte, lasciando spazio all'approssimazione, alla cattiva perizia, alla logica distruttiva. L’importante era il contenuto. Anzi. Peggio si era, meglio era. Il “demenziale” era di per sé un modo di leggere le angosce generazionali. Gli Squallor, nati qualche anno prima, fenomeno di grande importanza per il genere, erano stati uno ‘scherzo’ (bellissimo) autorale e composto da grandi parolieri o personaggi di successo del mondo discografico come Bigazzi o Savio. Nel caso degli ‘Skiantos’ la creatura emerse dal disagio, lo spiegò, lo mise in pasto alle persone e generò, su strade parallele, un senso di anarchia e di autarchia di cui probabilmente la musica aveva bisogno. Eppoi erano ‘punk’. Prendevano 200 mila lire di cachet a sera, ma in realtà a loro interessava procurarsi una scorta di verdure da buttare sul pubblico, su ispirazione del teatro futurista. Un giorno salirono sul palco e si misero a mangiare spaghetti, ovviamente senza suonare.

Provarono persino ad andare a Sanremo con l’idea di dissacrare la manifestazione dall’interno. Era il 1980. “Avevamo un pezzo sulle scoregge che si chiamava Fagioli, ma alla fine non ci hanno presi”.

Attenzione però: il termine demenziale, tradotto negli Skiantos, non è semplice goliardia, ma "cocktail di ironia, improvvisazione, poesia quasi surreale, cretinerie, paradossi e colpi di genio". Una forma letteraria e di azione, quindi.

“Largo all’avanguardia, pubblico di merda”, gridavano. Era quel che voleva sentirsi dire l’uditorio per parlare e cantare di emarginazione, eroina e omosessualità. Appresso alla loro linea creativa spuntarono altri complessi a macchia d’olio. E dall’altra parte, tra gli “impegnati”, cioè tra coloro che ogni tanto si beccavano ormai qualche insulto dai contestatori della seconda ondata, c’è chi probabilmente respirò quell’aria e ne rimase influenzato. Francesco Guccini scrisse “L’avvelenata”; Gianfranco Manfredi, umoristicamente, mise uno dietro l’altro i tic e i gesti del “Movimento”; Ricky Gianco, giovane talento del “Clan” di Celentano, andò anch’egli incontro ad una rinascita artistica ispirata dal momento storico e dalla sua trasposizione allegra, attuale e pittoresca. Oltre alla novità, il rock demenziale (e le sue conseguenze) determinò anche la velocizzazione di un’esigenza che si faceva sempre più pressante: la nascita delle etichette indipendenti. Tutte queste strutture, con l’ausilio delle radio libere, consentirono a decine di gruppi e artisti di uscire allo scoperto.

Proprio in base a questa importante necessità, fattasi concreta, possiamo dire che il 1977 scatenò una scintilla determinante per tutta la musica nostrana. L’ultimo sussulto, forse, di un’Italia che da lì in poi, con gli anni ottanta, perse le sue convinzioni rinunciando in gran parte alla ricerca interna e all’autonomia delle idee. Una carica smarrita con la capitalizzazione straniera delle case discografiche e la poca voglia di far riferimento alla qualità (anziché alla quantità) sull’onda della psicosi del calo delle vendite. Poi con internet è di nuovo cambiato tutto: una rivoluzione.

Agli Skiantos va dato il merito di aver aperto un varco, dentro al quale sono passati in seguito 'Elio e le storie Tese', ad esempio, o 'Lo Stato Sociale', ma anche ai fenomeni sorti grazie alla comunicazione immediata dei social o delle piattaforme multimediali dove ormai la creatività si autoproduce con successi incredibili. Un pò della realtà consumata (e ripetitiva) di oggi, però, va scavata sul finire degli anni settanta. 

Roberto Freak Antoni è stato un artista che fino all'ultimo si è speso per non essere uguale agli altri. Sia come autore, come individuo interessato alle novità, nella sua carriera di ‘solista’. Non ha mai conosciuto per questo il successo di massa, ma è stato più influente di quanto si pensi.

D’altronde – citandolo - “cosa pretendi da un paese che ha la forma di una scarpa"?

Foto: tratta dal web