Raccontare l'Italia senza ipocrisie: il grande cinema di Mario Monicelli - VIDEO

Pubblicato: Mercoledì, 29 Novembre 2017 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 29 Novembre del 2010 muore suicida a Roma un artista colossale

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Mario Monicelli non amava le smancerie, i racconti costruiti sulle favole o sulla speranza. Lo dimostrò anche scegliendo il momento in cui andarsene. “A 95 anni – ricordò la moglie poche ore dopo il decesso - il corpo cedeva ma la mente era lucidissima e perciò era stufo di questo Paese, disgustato nel sentire ciò che veniva raccontato dalla radio, sua unica fonte di informazione, perché non ci vedeva più. Questo disgusto era diventato un malessere fisico, si trovava in un mondo vile che andava contro i suoi principi, ma lui vile non lo era e l’ha dimostrato”. Così il 29 Novembre del 2010 Monicelli si gettò da una finestra dell’ospedale in cui era stato ricoverato. La stessa fine che farà Carlo Lizzani poco tempo dopo. La stessa scelta che aveva fatto il padre, Tomaso, giornalista e scrittore antifascista. A tal riguardo aveva detto: “Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena”.

Guardie e ladri, I soliti ignoti, La grande guerra, L'armata Brancaleone, Amici miei, Il marchese del Grillo. Questi film, tra i tanti, bastano a raccontare la statura del grande regista. Sono stati momenti straordinari per questa nazione. Tanto da farci dire che Mario Monicelli, in fondo, non è morto. Come succede solo ai grandi artisti.

Ha raccontato l’Italia del ‘900. Le sue sono sempre state storie di miserabili davanti ad imprese più grandi di loro. E man mano che l’Italia è cambiata, Monicelli seppe cambiare il suo cinema. Dalla ‘Grande Guerra’ a un ‘Borghese piccolo piccolo’, tanto per spiegare. In questo lasso di tempo la nazione era cambiata. Culturalmente e antropologicamente. Lui riuscì a condividere e intrappolare questa mutazione. Dalla vivacità e la felicità di vivere del dopoguerra e della rinascita fino alla società individualista e consumista.

Monicelli sapeva fare il cinema e probabilmente solo quello. Ci era cresciuto dentro. A trent’anni sceneggiatore, poi dietro la macchina da presa. Quando il cinema penso di passare ai temi sociali iniziarono i guai. La censura colpiva. Ferocemente. Scientificamente. ‘Umberto D’ di Vittorio De Sica, per queste ragioni, fu preso di mira, ma anche alla commedia che ostentava i molti vizi e le poche virtù della società non andava meglio. Quella cultura del lavare i panni sporchi in famiglia, un po' bacchettona, si metteva di mezzo alla voglia di raccontare. Un altro mondo, ma di grandi talenti che riuscivano e superare e raggirare questa 'tenaglia' con la creatività e il genio.

L’Italia che veniva dalla guerra o della gente bisognosa non andava vista. Il cinema, quel cinema, invece, la raccontò con successo. Ricorderà Totò: “Se a un comico tolgono la possibilità di fare la satira che gli resta? Al film migliore che ho interpretato, ‘Totò e Carolina’, hanno fatto 82 tagli. Hanno persino voluto la soppressione del nome del mio personaggio che si presentava dicendo: "Caccavallo, agente dell'Urbe". La pellicola fu soggetta a numerose censure per via del fatto che l'interpretazione di Totò, secondo la visione dei censori dell'epoca, avrebbe sminuito e ridicolizzato il ruolo degli agenti di Polizia. Tali furono le modifiche che degli originali 2600 metri di pellicola si arrivò ad una versione di soli 2386, dopo ben tre bocciature da parte della commissione di censura.

Il cinema di Monicelli aveva un filo conduttore: raccontava storie di gruppi di persone, soprattutto, le quali potevano fornire un grande cantiere di psicologie da indagare e sviscerare per mettere in fila tipologie di uomini e di donne diverse tra loro, ma tutte esistenti nel mondo reale. Il regista vedeva nell’amicizia, quella vera, un valore forte, ma stava bene anche da solo. Non è un caso che molti dei suoi eroi o dei suoi antieroi lo siano. Come quel Brancaleone che vaga  nel deserto, o i protagonisti de ‘I Soliti ignoti’ che dopo il colpo fallito se ne vanno per la loro strada. Isolatamente.

Monicelli aveva un pregio: era sempre se stesso. Non aveva ipocrisie, risultava per questo burbero o antipatico. Era solo sincero. In Italia una dote poco apprezzata. Non si abbandonò mai alla disperazione, neanche nei suoi film. Disegnò l’Italia e gli italiani con un misto di eroico e di ridicolo (come in effetti è nella realtà). A lui devono tanto anche i migliori attori italiani del Novecento, a cui ha donato ruoli incredibili ed indimenticabili: Vittorio Gassman, Totò, Aldo Fabrizi, Mastroianni, Sordi, Tognazzi, Ornella Muti, Claudia Cardinale o Monica Vitti.

Le sue sono (e rimarranno) opere di immenso valore che esprimono intelligenza, disincanto, amore per i perdenti e per chi non riesce a stare nel mondo in cui l'unico desiderio è prevaricare l'altro. Per questo un ghigno un po' amaro ha sempre attraversato la sua filmografia. Uno spirito libero, in conclusione, che ha insegnato - con la sua arte, ad essere liberi. Soprattutto con il pensiero.