Giorgio De Chirico: l’architettura, il teatro, le ombre, l’antichità nell'arte moderna. Una visione eterna

Pubblicato: Lunedì, 20 Novembre 2017 - Fabrizio Giusti

dechiricoACCADDE OGGI - Il 20 Novembre del 1978 moriva uno degli artisti fondamentali dell'arte moderna

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Moderno, eppure classico e antico. Giorgio de Chirico era un uomo ironico, di grande tradizione e di grande futuro, che rivisitava il mito, inteso come “fatto idealizzato in corrispondenza di una carica di eccezionale e diffusa partecipazione fantastica o religiosa”, ma immortalato in una sua dimensione intima e perimetrata in un interno.

Non era un individuo espansivo, ma aveva il senso della compagnia e del dialogo. Amava il silenzio, la riservatezza. Era un personaggio complesso, affascinante, malinconico, ma pur sempre capace di interagire con il mondo che lo circondava.

E' l'artista che ha saputo chiudere un cerchio, diventando una delle maggiori espressioni della modernità partorita dal Novecento e al tempo stesso figura cardine che sapeva guardare al classico senza creare il corto circuito degli stili, ma anzi riuscendo in una complementarità raffinata. E’ conosciuto come il maggiore esponente della ‘Pittura Metafisica’ che pose – narrano i critici - le basi per la nascita del Surrealismo. Surrealisti che De Chirico frequentò, ma che non amò.  

Nato da genitori italiani benestanti a Volo, si avvicinò alla pittura già in tenera età. Trasferitosi con la famiglia a Monaco di Baviera, finirà gli studi presso l’Accademia di Belle Arti. È in Germania che si forma, manifestando un interesse per per Arnold Böcklin, autore di una pittura decadente (L’isola dei Morti, Autoritratto della Morte che suona il violino) che ispirerà inizialmente il percorso individuale del giovane artista. Legge Nietzsche e Schopenhauer, due filosofi a cui resterà legato per sempre.

Trasferitosi a Parigi, dove il Cubismo di Picasso è la novità, rimane comunque a margine delle Avanguardie. Inizia, in questo periodo degli anni dieci, la rappresentazione delle Piazze d’Italia in cui la solitudine, il deserto ed il mistero sono temi centrali, visioni senza un obiettivo, che vivono di quel momento. Un percorso che inizia con Enigma di un pomeriggio d’autunno, ispirato da Piazza Santa Croce a Firenze. L’artista, in quel periodo, non era in buone condizioni fisiche. Dopo un po' di giorni, ristabilito, davanti allo slargo del capoluogo toscano intuisce il percorso. Il luogo, davanti ai suoi occhi, sparisce, si trasforma. Il passaggio dalla malattia alla salute cambia la realtà. Ogni cosa è pacificata. La piazza diventa così il posto della riflessione, della contemplazione, lo spazio della mente e della coscienza. Immortalando l’essenziale.

Questa è la storia che si racconta, o quasi. Perchè in realtà, forse, quella piazza fu sì percepita a Firenze, ma realizzata pensando a Monaco. De Chirico sintetizza comunque in queste tele il confronto tra epoche diverse che attraverso l’arte dialogano per mantenere la loro presenza e il proprio eterno presente. In una vita che va di corsa, specie nell’epoca moderna, la piazza stessa con lui diventa nuovamente affascinante, come la pausa ricercata e necessaria pur senza la presenza umana. Lì dove per eccellenza avvengono incontri e sguardi, la sottolineatura è proprio nella mancanza dell’uomo. L'assenza, dunque, come elemento di riflessione e di visibilità. Con un senso di morte, certo, ma anche di ciò che non abbiamo.

In De Chirico sono importanti anche le ombre, colte soprattutto all’alba o al tramonto. Quando si allungano, si proiettano. Un’arte teatrale, per questo, di grande rappresentanza. Per tutti questi fattori, fu una fonte di ispirazione per gli architetti. Senza di lui l’arte moderna non sarebbe come l’abbiamo vista. Un modo di creare a suo modo religioso, spirituale, teso a quella verità che ricercano tutti gli artisti attraverso il proprio mestiere.

Mentre era ricoverato all'ospedale militare di Ferrara nel 1917, conobbe il pittore futurista Carlo Carrà, con cui iniziò il percorso che lo portò a perfezionare i suoi studi. Ispirerà architetture reali, realizzate nelle città fondate dal Fascismo, dove il razionalismo italiano creerà forme e spazi come nei suoi quadri, dove il tema archeologico, omaggio alla classicità, si interseca con le figure del manichino, l'idea cioè dell'essere umano-automa contemporaneo mutuata dall’uomo 'senza volto' del fratello Alberto Savinio. Il mondo si mescola così alle visioni, tra concettualità e realtà, senza mai smettere di dipingere mentre tuona tutto attorno la fuga dal figurativo.

Guardando i quadri di De Chirico ognuno è attraversato da un senso di solitudine e inquietudine. Ma non solo. Anche di amore per la tranquillità, nel silenzio ove è possibile avvertire ancora il vento, i rumori della città lontana o, perché no, della natura dove c’è o viene immaginata. Quel silenzio, nella sua arte, che ha la grande capacità di comparire, di diventare addirittura un fatto commentato dai colori.

De Chirico morì il 20 novembre 1978, all’età di 90 anni. In lui hanno dialogato l’arte, la filosofia, la letteratura. Il suo ‘futuro antico’ rimarrà eterno. Perché convive con l’uomo che non cambia mai nella sua profonda natura. Con i suoi difetti ed i suoi sentimenti. Ma soprattutto nel pensiero, mai definito e perennemente sospeso, sul senso della vita.