Luigi Tenco, l'incompreso poeta dell'Italia che correva troppo

Pubblicato: Martedì, 26 Gennaio 2021 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Nella notte tra Il 26 e il 27 gennaio del 1967 la fine di un artista senza età

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L'Italia degli anni sessanta del novecento correva, si trasformava. Stava cambiando la sua economia, il modo di vivere, i rapporti interpersonali, la sua identità. Nella mutazione di un corpo sociale che spopolava le campagne per preferire la città - mettendosi in sella alla velocità del consumismo di massa - un artista, forse più di altri, rappresentò le contraddizioni di quel periodo storico, frugando dentro la volontà di creare un mondo nuovo e nella consapevolezza delle immutabili condizioni dell'uomo, delle sue fragilità.

Si chiamava Luigi Tenco.

VITA - Nato a Cassine, in provincia di Alessandria, il 21 marzo del 1938, Tenco si trasferisce con la famiglia a Genova. Appassionato di jazz, entra nel circuito vitale di una piccola band formata da grandi talenti che faranno nascere la “scuola genovese”: Bruno Lauzi, Gino Paoli, Fabrizio De André.

Quando il gruppo si scioglie, Tenco si dedica al rock’n’roll e fonda i” Diavoli Rock” dove suona il sassofono. “Mi sono innamorato di te”, scritta nel 1962, lo porta al primo successo. E' certamente una canzone dal testo inconsueto, pur trattando un tema abbastanza banale. ”Mi sono innamorato di te/ perché non avevo niente da fare”. Il freddo calcolo razionale per colmare il vuoto della propria esistenza è una visione del tutto nuova per quell'Italia avvolta dai caroselli e dal boom economico. E La riflessione controcorrente nell'epoca dell'ottimismo indotto non passa inosservata. Lo stesso 1962, non a caso, è anche l'anno de ” La Cuccagna”, film diretto da Luciano Salce e incentrato sulla società ubriacata dal miracolo economico, nel quale Luigi canta il brano “La ballata dell'eroe”, composta dall'amico De Andrè.

Il giovane autore inizia ad apparire anche in televisione sempre più spesso tra il 1966 e il 1967 e a cantare le sue canzoni, nelle quali è ormai evidente il suo rifiuto del conformismo, della guerra, del militarismo, del razzismo e della discriminazione nei confronti dei giovani, con i quali Tenco ha anche confronti aspri e per nulla accomodanti. Tenco è infatti figlio della civiltà dalla quale proviene, figlia di quella campagna intrisa di valori arcaici che lui vuole difendere, rispetto a quella dei suoi interlocutori, nati in grande maggioranza nella borghesia delle grandi città. Al ''Beat 72'', in un dibattito del 1966, a chi lo accusa di non essere sostanzialmente troppo impegnato, Tenco risponde: ''Qui si comprano le proteste dell'America, si comprano i capelli lunghi''. E' il suo modo di distinguersi, di essere differente rispetto ai seguaci della contestazione per moda.

''Un giorno dopo l'altro'', brano dotato di un testo che esprime tutto il disincanto nei confronti della vita ed il rimpianto per una felicità mai raggiunta, è l'esempio di questa mentalità che voleva stare al centro della società e dei suoi cambiamenti ma senza rimanerne condizionato. Ed anche nel suo ultimo testo presentato, ''Ciao, amore ciao'' (che purtroppo precede lo sparo che lo porterà alla morte a Sanremo) c'è tutta l'autobiografia di un sentimento che si lancia su un tema di grande impatto - quello dello spopolamento dalle campagne verso le metropoli e la conseguente solitudine dell'emigrante - che lo rappresenta intimamente nello stravolgimento esistenziale del trovarsi catapultato in una nuova realtà ispirata delle regole economiche e sociali del periodo. Una condizione ben spiegata in una frase, ''Saltare cent’ anni in un giorno solo'', che sintetizza un'epoca e la marginalità di migliaia di persone.

Nell'opera di Tenco c'è una costante ricerca dell'amore e dell'amicizia, valori indissolubili e forse incostanti nella vita di questo artista dalla poesia ancora attuale.

Cantò: ''Vedrai vedrai vedrai che cambierà/ forse non sarà domani/ma un bel giorno cambierà/ Vedrai vedrai /non son finito sai /non so dirti come e quando/ma vedrai cambierà''.

Il suo testamento è andato oltre quel Festival e quel 27 gennaio del 1967, superando gli stereotipi di un uomo che visse il suo tempo rimanendo in gran parte incompreso. Quella stessa società che non lo aveva capito all'epoca, trasformandosi, ne ha recuperato oggi il senso più artistico ed intimo.