L’urlo solitario di Pier Paolo Pasolini, il poeta che intuì il pericolo collettivo presente

Pubblicato: Giovedì, 02 Novembre 2017 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Nella notte tra il 1 e il 2 Novembre del 1975 il terribile omicidio dell'intellettuale più scomodo del dopoguerra

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L’impronta del suo corpo massacrato è ancora lì, sulla nuda terra. Non è più materialmente visibile, ma il sangue è penetrato sul terreno in profondità ed ha prodotto radici ovunque. Perché la società italiana di oggi somiglia alle sue visioni. Perché l’Italia di oggi, sopratutto, non ha ancora saputo seguire e comprendere le sue parole.

Pier Paolo Pasolini aveva raccontato, attraverso le sue opere, un mondo che cambiava antropologicamente. Fu forse il più acuto, feroce e spietato critico del potere, del fanatismo economico, della civiltà dei consumi.

L’autore di ‘Salò’ - film appositamente cupo al fine di mostrare la deriva capitalista (quella per intenderci che nella pellicola denuncia il godimento individualista che costringe i suoi sudditi e uccidere l’ideale e a mangiare feci poiché la corruzione dei corpi è ormai un fatto) - è ancora drammaticamente attuale. Il sistema che lui combatteva ha oggi ingurgitato la sua icona, glorificandola ovunque, a volte non conoscendone l'impegno profondo e cercando di rendere soporifero il suo pensiero attraverso gli aneddoti, la vita privata, l’omosessualità, l’ultima tragica notte della sua esistenza. Si parla spesso di altro, meno delle sue idee.

Pasolini era nemico del perbenismo e amava scandalizzare per dare forza alla sua testimonianza contro il degrado culturale della nostra società. Un intellettuale scomodo. Anzi: uno degli ultimi intellettuali in un’epoca che li vedeva gradualmente scomparire, guardando sullo sfondo una nazione emarginata e marginale, orfana proprio di individui capaci di svelare le criticità e di commentarle, di assumersi le responsabilità delle loro provocazioni per far crescere la collettività e farla riflettere.

Quando ritrovarono il suo corpo dilaniato e schiacciato all’Idroscalo di Ostia, Pasolini mostrava un volto irriconoscibile, ferite, dieci costole spezzate, un orecchio quasi strappato dal suo impianto, la frattura in due punti della mandibola, delle falangi di una mano, alcune lacerazioni capsulari del fegato. Nella notte tra il 1° e il 2 novembre del 1975, secondo la giustizia italiana, fu ucciso da un uomo solo, Pino Pelosi, oramai scomparso, dopo una violenta colluttazione susseguente ad un rapporto sessuale. In realtà le cose andarono diversamente, ma forse mai sapremo come. Non solo perché Pasolini era un uomo fisicamente forte e non poteva essere così ridotto da un legno fradicio e da un 16enne, ma anche perché i fatti non andarono, per tutti coloro che se ne sono interessati approfonditamente, come ci sono stati raccontati.

Era un’anima sensibile, poetica, netta, visionaria, profetica. Mai omologato, senza calcoli, senza prudenza, diverso, senza appartenenza nella nazione in cui ognuno fa parte di qualcosa. Per questo braccato, attaccato, processato per ben 33 volte non solo per le sue opere o i suoi film, ma anche per reati mai commessi, persino inventati. Ucciso, forse, proprio per questo. O a causa di questo. La sfumatura è grande, ma il senso della fine no.

Fu contro i ragazzi di Valle Giulia che picchiavano i poliziotti, fu progressista, marxista ed espulso dal Pci, per alcuni un pederasta e per altri un grande intellettuale, ma anche un regista, uno scrittore e un grande poeta capace di integrarsi ed amare le periferie e le borgate come mai era stato fatto prima. Era fondamentalmente ateo, ma attratto dalla visione letteraria del Vangelo, dell’indagine del cristianesimo come rivoluzione culturale, morale, umana, fatta da uomini che erano frutto della terra in cui erano nati e venuti al mondo.

Rebibbia, Ciampino. I margini che nessuno vedeva. Ma non solo. Pasolini si ispirò alla sua travolgente passione civile e da un costante conflitto interiore. Un uomo misterioso ed allo stesso tempo privo di censure. Nudo, esposto al pubblico giudizio, interpellato malevolmente.

Quando è morto, si è cercato di ucciderne l’immagine che intanto si era già creata, delegittimando quello che aveva detto o scritto. Lui, che per primo scrisse dei ragazzi delle periferie romane, trasformati quasi in personaggi epici, pagò con la vita tutto il suo coraggio, i suoi comportamenti, le sue provocazioni.

Per lui lo Stato italiano non ha mai trovato giustizia. Il Poeta, però, quello continua a far parlare di sé con una documentazione letteraria e cinematografica che ha lasciato come testimone un territorio maturo e fecondo, inascoltato per larghi tratti, ma anche la voglia di vivere e credere in quella bellezza che porta fino alla strada della verità.

Dell’Italia di oggi avrebbe molto da dire, forse rivendicando solo la convinzione di averla prevista, persino narrata. Riga per riga, persona per persona. L’Italia spoliticizzata e completamente omologata a precise regole convenzionali di vita e di abitudine, oggi lo vede come una sorta di ‘santino’ da distribuire, annullandone troppo spesso il senso.

In occasione del quarantesimo anniversario della morte, Pignon-Ernest lo ha disegnato in una “pietà laica” in cui un Pasolini vivo porta in braccio il suo stesso cadavere, quasi ad interrogare gli altri con una domanda che ha i suoi effetti reali: “E voi, cosa ne avete fatto del mio sacrificio?”.

Tuttavia egli emerge da quelle radici di cui narravamo all’inizio di questa riflessione solo cercandolo, scovandolo, riscoprendolo. Ed è ancora un’arma potente, rileggendolo ed interpretandolo, contro il potere che infligge le regole e le mette sulle spalle dei cittadini, trovando sempre una via di fuga per fare di quelle stesse regole un modo per guidare e persino deviare la società. Una società intrisa di pericoli perché disumanizzata e incapace di riconoscere il bene dal male, il bello dal brutto, la vera morale dalla vera immoralità, il senso della morte e quello della vita, il giusto dall’ingiustizia.

Alzandosi in piedi, è ancora possibile ascoltare il suo urlo solitario.