Aldo Capitini, l’uomo della pace e della partecipazione. “Ogni tuo pensiero sarà anima di tutti"

Pubblicato: Lunedì, 19 Ottobre 2020 - Fabrizio Giusti

 

ACCADDE OGGI – Il 19 ottobre del 1968 la scomparsa del creatore della ‘Marcia della Pace”

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Se tutto in te sarà amore, non si vedranno più i lineamenti in qualche scopo o l’angustia tua. Quando dirai una parola, sarai infinitamente in essa, anche umile; vivrai così la vita del verme, del nido, del sospiro del silenzio. E la morte vivrai, se davanti ad essa non ci sarà nulla in te che si distacchi dalla sua presenza. Se canterai fa che tu sia tutto canto; anche le cose lo riconosceranno come loro. E se un solo cuore resterà come prima, tu non avrai saputo trarre da te il vero tutto, a cui ogni viso è rivolto. Ma basterà il tuo solo apparire e il tuo Tacere modesto, perché si riconosca se c’è in te una pretesa o una dedizione senza riserva. E non coglierai i fiori. Solo il fiore che

lasci sulla pianta è tuo. Mostrerai che tu non sei figlio del torrente che scava, usurpa e fugge. Ogni tuo pensiero sarà anima di tutti: vivrai nella vita dei cuori e di ogni sostanza e luce. Così cadrà ogni riparo di tua solitudine ti sentirai aperto in assoluta purezza.  Capirai la verità che l’amante parli all’assente”.

In questi versi di Aldo Capitini c’è molto del suo sentire il mondo e gli altri. Fu uomo di pace e di intervento per la fratellanza, l’inventore della ‘Marcia della pace’ Perugia – Assisi che ancora oggi è sinonimo di condivisone e ricerca dell’amicizia tra i popoli e le persone.

Con lui si sviluppò il concetto di assemblea, la partecipazione di base, il controllo dal basso. Morì nel 1968, quando le sue idee, in fondo, si stavano espandendo tra le nuove generazioni.

Riuscì, attraverso il suo intenso impegno, a mettere in comunicazione contadini, analfabeti, operai e intellettuali, dal nord e dal sud, in un’epoca in cui il mondo sembrava aver preso un’altra strada rispetto a quella del secondo conflitto mondiale e della guerra fredda: Papa Giovanni XXXIII, Krusciov in Russia, Kennedy in America….

Aldo Capitini era uomo mite ma ostinato, nonviolento. In un tempo in cui la religione cattolica era anche religione di Stato, egli introdusse qualcosa di nuovo in una storia di tradizione evangelica secolare, aprendosi all’ascolto.

“Non coglierai i fiori. Solo il fiore che lasci sulla pianta è tuo”, recita la poesia all’inizio di questo ricordo. E Capitini, antifascista, anticomunista, critico nei confronti di un certo clero, insegnò agli altri l’autonomia del pensiero, la modalità con cui farsi unici e universali allo stesso tempo.

Era affascinato dalla figura di Gandhi. Si definiva un religioso laico. Era vegetariano, sostenitore di una religiosità indipendente da qualsiasi forma di chiesa o di setta. Credeva nella fratellanza umana e nel pacifismo. Un filosofo e uomo politico che è rimasto ai margini per le sue scelte, mentre le correnti di pensiero allineate, di qua e di là, omologavano intere masse di italiani nella storia politica del Novecento.

È stato, per molto tempo, un incompreso. Quando era antifascista, e lo fu con grande tensione morale, rimase slegato dai grandi partiti. Era considerato una specie di eccentrico, un’anomalia. La sua nonviolenza, tuttavia, fu un progetto sociale nuovo, affatto rinunciatario, inclusivo, partecipativo in nome di quell’agire che diventa comunità.

Nacque in una famiglia senza privilegi. La madre lavorava come sarta e il padre era impiegato comunale, custode del campanile municipale di Perugia. Ritenuto inabile al servizio militare per ragioni di salute, non partecipò, lui ragazzo del ‘99, alla Prima guerra mondiale. Studiò i suoi interessi da autodidatta, dando così inizio al suo lavoro di approfondimento interiore e filosofico che lo portò a compiere passi originali.

Nel 1929, ad esempio, criticò il Concordato con la Chiesa cattolica, da lui giudicato una "merce di scambio" per ottenere da Pio XI un atteggiamento "morbido" nei confronti del fascismo.

Nel 1930 venne nominato segretario della Normale di Pisa in cui maturò la scelta del vegetarianismo come conseguenza della scelta di non uccidere. Insieme a Claudio Baglietto promosse tra gli studenti riunioni serali dove diffuse scritti sulla nonviolenza e la non menzogna. Quando Baglietto, recatosi all'estero con una borsa di studio, rifiutò di tornare in Italia in quanto obiettore di coscienza al servizio militare, scoppiò uno scandalo e il direttore della Scuola Normale Giovanni Gentile, chiede a Capitini l'iscrizione al partito fascista. Capitini rifiutò e la scelta gli costò il licenziamento. 

Nel 1935 conobbe Benedetto Croce, a cui consegnò un pacco di dattiloscritti che diventeranno in se guito gli ‘Elementi di un'esperienza religiosa’, uno tra i principali riferimenti letterari della gioventù antifascista. Poi fondò, nel 1937, il Movimento Liberalsocialista. Alle attività del movimento collaborano, tra gli altri, Ugo La Malfa, Giorgio Amendola, Norberto Bobbio, Pietro Ingrao.

Nel febbraio 1942 la polizia effettuò una retata nel corso di una riunione del gruppo. Capitini e gli altri partecipanti alla riunione vengono rinchiusi nel carcere delle Murate, a Firenze. Dopo quattro mesi venne rilasciato poiché ritenuto un "religioso".

Dopo questa esperienza il filosofo rifiutò l’iscrizione a qualsiasi altro partito. Per questo rimase escluso dal Comitato di Liberazione Nazionale e dalla Costituente.

Nel maggio 1943 Capitini venne nuovamente arrestato e trasferito nel carcere di Perugia fino al 25 luglio dello stesso anno, giorno della caduta del regime fascista.

Nel 1944, intanto aveva dato vita al esperimento di democrazia diretta del Centro di Orientamento Sociale (COS), uno spazio politico aperto alla libera partecipazione dei cittadini. Un posto in cui i problemi di gestione delle risorse pubbliche venivano discussi assieme agli amministratori locali, invitati a partecipare al dibattito per rendere conto del loro operato e per recepire le proposte dell'assemblea, con l'obiettivo di far diventare "tutti amministratori e tutti controllati". In breve tempo il progetto si radicò in altri comuni italiani, scontrandosi con l'indifferenza della sinistra e della Democrazia Cristiana.

Nel 1948 il giovane Pietro Pinna maturò la sua scelta di obiezione di coscienza: fu il primo a farlo nel dopoguerra. Processato dal tribunale militare di Torino il 30 agosto 1949, subì una serie di processi, condanne e carcerazioni, fino al definitivo congedo per una presunta "nevrosi cardiaca". Agli inizi degli anni 60 si dimetterà dal suo impiego in banca per raggiungere Danilo Dolci in Sicilia e in seguito si trasferirà a Perugia per diventare collaboratore di Capitini, dal quale aveva maturato le sue coraggiose prese di posizione.

In seguito a questa esperienza, Capitini promosse una serie di attività per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, convocando a Roma nel 1950 il primo convegno italiano sul tema.

Sono gli anni del Centro di Orientamento Religioso (COR), fondato a Perugia con Emma Thomas, in cui trovavano espressione la religiosità e la fede di tutte le persone, i movimenti e i gruppi che non trovavano posto nel Cattolicesimo preconciliare, favorendo la conoscenza di religioni diverse, tant’è che la Chiesa locale vietò la frequentazione del COR. E quando Capitini pubblicò ‘Religione Aperta’, il libro venne inserito nell'Indice dei libri proibiti. Tuttavia ciò non gli negò si legare ugualmente degli efficaci rapporti di collaborazione con Don Lorenzo Milani o Don Primo Mazzolari.

Fondatore della "Società vegetariana italiana", il 24 settembre 1961 Capitini organizzò la Marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli, un corteo nonviolento che si snodò per le strade che da Perugia portano verso Assisi. In questa occasione venne per la prima volta sventolata la Bandiera della pace, “Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza- scrisse - non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia”.

Partendo dalle basi delle sue innovazioni precedenti, fondò un periodico, “Il potere di tutti”, ove si condensarono gli elementi fondamentali di quella che lui stesso definì "omnicrazia", ovvero la gestione diffusa del potere contrapposta o alternativa al centralismo dei partiti.

Il 19 ottobre 1968 muore dopo aver subìto un intervento chirurgico, lasciando un testimone di grande importanza.

Capitini aveva l'abitudine di definirsi un "religioso laico", un concetto che aveva preso animo dal suo distacco dalla Chiesa cattolica, a suo modo di dire complice del regime fascista. Sosteneva infatti che col Concordato del 1929 la Chiesa aveva legittimato Mussolini dimenticando le violenze e così garantendone la moralità di fronte alla popolazione che aveva grande fiducia nella massima autorità religiosa. Fu, anche per questo, uomo distante dalle istituzioni clericali partendo da un esclusivo modello spirituale che agiva verso gli ultimi e non contestualizzava forme di potere.

La sua fu per questo una educazione "profetica" , con uno sguardo al futuro, capace di criticare la realtà sulla base di valori morali e deprecando quella mentalità materialista che si era fatta largo nella società e che aveva in qualche misura marginalizzato l’aspetto più importante: la realizzazione delle persone. Aveva un culto della discussione, della socializzazione, del raccoglimento, e dell'elevazione spirituale che lo reso inimitabile per la storia sociale d’Italia.

A lui, però, si deve una presa di coscienza differente che ha influenzato un’intera generazione, seminando idee che sono oggi ancora attuali e decisamente utili per la costruzione di una società più equa.