Cambiare la cultura del tifo è un obbligo, ma demonizzare le Curve è un grande errore

Pubblicato: Mercoledì, 25 Ottobre 2017 - Fabrizio Giusti

ROMA (attualità) – Il caso Anna Frank, tra ipocrisie e politicamente corretto, non aiuterà a migliorare la qualità dei nostri stadi

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Una riflessione del tutto personale: le ipocrisie non mi sono mai piaciute, il politicamente corretto neanche.

Gli adesivi di Anna Frank a Roma circolano da quattro anni. Quattro. Chiunque si interessi un pò di sport, in una città che si fa male da sola e che ha delle tifoserie splendide quando autolesioniste e poco equilibrate nei giudizi, lo sa. Già nel 2013 il caso venne alla luce (LEGGI l'articolo del 6/12/2013). Poi non è successo nulla.

La cosa fa abbastanza schifo. A me facevano schifo anche quelli che si divertivano a fare i cori contro Paparelli in Sud senza sapere neanche che cosa stessero cantando e che cosa significasse quell’altro razzo ipotetico da sparare in Curva Nord. Eppure sembravano sfottò, invece che macabre offese alla memoria di un uomo senza colpe, capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato in un triste Derby del 28 ottobre 1979.

Il problema è che tra razzi e razzismo sono passati quaranta anni senza fare un passo avanti sul piano della qualità e la cultura del tifo. In troppi stadi non si alimenta solo l’amore per la propria bandiera, come dovrebbe essere. Almeno non prima di aver sputato ogni tipo di avversione contro chi sta dall'altra parte. Uno spreco di energie, verso un nemico che in realtà non esiste.

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Rimaniamo da anni fermi sugli stessi errori. E’ un problema che non interessa troppo alle società di calcio perché i tifosi pagano, anche quelli che scrivono e dicono cose che escono dall’ano, e nessuno se li vuole mettere contro. Nessuno si vuole mettere contro quelle espressioni mediatiche cittadine che invece di far ragionare le persone, spingerle verso l’educazione allo sport, al valore della sconfitta e alla sana competizione per la vittoria, soffiano sul dibattito, si dividono per caste, per gruppi, per fazioni, alimentano le tensioni, si arrampicano sui distinguo, fanno persino scappare i giocatori, consigliano cessioni. Poi ripartono, ricominciano. Sempre. Da decenni.

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Io sono sempre stato un tifoso. Sapevo appena camminare quando mi appassionato alle vicende della mia cara Roma, con un padre ex interista convertito perché si era innamorato dei ragazzi della Sud, del loro modo di vivere lo stadio, della loro passione. Un'emozione che mi entusiasmò guardando Roberto Pruzzo (di anni ne avrò avuti a malapena 5), nel maggio del 1979, correre da solo come un cavallo pazzo sotto la Curva per un gol che ci salvò dalla B contro l’Atalanta. Bellissimo.

 
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Demonizzare tutti gli ultras come degli appestati senza morale è ipocrita e sbagliato, controproducente. Ho frequentato la Curva, mi piaceva starci in mezzo. Tra quei ragazzi e quei personaggi unici della Domenica ho passato anni bellissimi, mi sono persino arricchito (di sensazioni ed esperienze). Un’infanzia e un’adolescenza che non cambierei con niente. Mi sono divertito, ho spartito e vissuto sensazioni con individui tanto differenti da me, ma che dentro a quel catino di anime erano come me. Una cosa sola.

Anno dopo anno, nel mio percorso personale, mi sono reso conto che non potevo disperdere una settimana intera per un gioco, invece di mettere lo stesso impegno per altre cose importanti della vita. Che meritano di più, tanto di più.

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Il calcio è il piacere di un’ora e mezza, che se ben applicato è 'forza di popolo', come narrava Edilberto Coutinho, ma quando si infila dentro binari morti è solo una piccola cosa senza senso. Come chi si augura la fine di altri tifosi, oppure usa una povera ragazza morta o un padre di famiglia vittima della violenza per dileggiare l’altro come un essere inferiore in nome di una stupida e cieca volontà di offendere. Queste persone non dovrebbero frequentare gli stadi, ma neanche i campetti di provincia. Semplicemente perché non hanno capito come si sta al mondo.

L’Inghilterra è oggi un modello, si dice. Ma ha imposto i suoi canoni ed i suoi metodi. Rigidamente. E li invidio sempre, da quelle parti, per come si vivono le partite di calcio. Tifano, si sfogano, esultano, applaudono, anche con rivalità acerrime, ma senza scadere più in atteggiamenti condannabili.

Qua da noi è così impossibile? Pare di sì.

 

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