La ‘disfatta di Caporetto’: la storia di una sconfitta, di un esodo drammatico e di un poderoso riscatto

Pubblicato: Martedì, 24 Ottobre 2017 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il drammatico ritiro di profughi e dei soldati, le storture, gli orrori, ma anche la nascita di un popolo

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24 ottobre - 12 novembre 1917: dodicesima battaglia dell'Isonzo. La Caporetto che tutti noi conosciamo come simbolo della ‘disfatta’ della ‘Grande Guerra’ si chiama Kobarid ed è in Slovenia. Questo era il suo nome, anche più di un secolo fa. Era una comunità che faceva parte dell’impero austro-ungarico da almeno quattro secoli con una minoranza di italiani (un’ottantina appena nel 1921, quando era appena entrata a far parte del Regno d'Italia). Per tutti la zona è storicamente riconosciuta come sinonimo di sconfitta, ma anche la distorsione di una battaglia che oggi giunge a noi senza più gli aloni della retorica e in tutta la sua crudeltà, i suoi drammi e le sue conseguenze. 

Caporetto non fu solo un clamoroso disastro, ma anche una vergogna, corredata da notizie infondate che solo nel corso degli anni hanno preso il giusto posto nella narrazione di un episodio mai rimosso.

La verità è che fu soprattutto una vittoria dell’esercito tedesco e austro-ungarico con la tecnica delle veloci e piccole unità mobili, capaci di penetrare nel terreno del nemico per distruggere comunicazioni, minare strade e fare attentati. Erwin Rommel portò a compimento un’avanzata che in poco più di 48 ore catturò 150 ufficiali e oltre 9mila soldati. Un blitz in cui si sperimentarono anche mezzi di attacco del tutto nuovi e catastrofici come i lanciagas che liberavano una miscela che fu la causa dello sterminio dell'87° Reggimento della Brigata Friuli. Il fronte fu riorganizzato sul Piave, centosessanta chilometri più ad ovest. 

Poi fu il tempo della ritirata, delle violenza sulle donne, l'esodo delle popolazioni, i prigionieri italiani lasciati a morire nei lager dell'impero, il rientro in patria dei superstiti e il senso di vergogna provato da quest'ultimi, persino offesi, e fu anche il tempo del recupero delle salme.  In ‘San Martino del Carso’. Giuseppe Ungaretti, esprimeva il senso di questo lutto e di questa trageda, nel modo più intimo e generale:

Di queste case/ non è rimasto/ che qualche/ brandello di muro./ Di tanti/ che  mi corrispondevano/ non è rimasto/ neppure tanto./ E’ il mio cuoreil paese più straziato.

“I soldati hanno mollato”. Il Generale Cadorna telegrafò al ministro della Guerra collocando la responsabilità della sconfitta a “dieci reggimenti arresisi senza combattere”. Una menzogna, architettata da quei militari di carriera che trattavano gli uomini come bestie da mandare al macello per cento metri di conquista. Davanti ai tribunali militari giunsero 323.527 imputati. 4.028 andarono verso la pena capitale. La ‘Grande Guerra’ fu anche questo.

Caporetto costò 40mila tra morti e feriti tra gli italiani, oltre 50mila tra gli austriaci. Ben un milione i profughi civili. Non tralasciando le condizioni inumane, terribili, complicatissime, che fecero di quella generazione un esempio di resistenza e di amicizia, di dolore e di sacrificio, tenerezza e sofferenza. Senza possibilità di un riparo, con il fango a mezza gamba, distrutti dalla fatica, dispersi, camminando lungo strade piene di cadaveri, di armi abbandonate, a migliaia si ritirarono. Se eroismo diffuso ci fu, servì anche per salvarsi la pelle. E non è poco. Tra questi, tanti bambini rimasti senza il papà o la mamma o entrambi i genitori. A decine finirono nelle case per l’infanzia abbandonata.

L’esodo durò per settimane, mesi. Non fu solo un tormento per le persone, ma anche per le istituzioni, le prefetture, gli ospedali, le carceri, i manicomi, le industrie.

Uomini e donne trovarono ospitalità nelle grandi città, da Milano a Firenze, da Roma a Bologna, ma anche nei piccoli centri. L’Italia rispose con generosità e spirito di solidarietà. Ovunque vennero organizzate manifestazioni di accoglienza. Liberali, socialisti, repubblicani, cattolici, monarchici e sindacalisti si mobilitarono e organizzarono sottoscrizioni anche all'estero. Tuttavia, con il passare dei mesi, il rapporto tra alcune popolazioni ospitanti e i profughi si lacerò gradualmente, anche se mai definitivamente. La carenza di servizi igienici fu una delle cause del diffondersi della dissenteria e di malattie cutanee, fino alla ‘spagnola’ che provocò 600mila morti. Alcuni sfollati furono accusati di essere la causa della disoccupazione o del razionamento alimentare. Ci furono persino incidenti di piazza. A Modena, affermano alcune cronache, furono esposti cartelli con scritto: “Non sono graditi gli sfollati”. Questo, ovviamente, a fronte dei tanti casi eccezionali di concordia e collaborazione in tantissime città, dove anzi si consolidò un certo spirito comunitario.

Poi arrivò la svolta, con la scelta del generale Armando Diaz, il quale ridestò gli animi, riportò vigore all’esercito, riorganizzò la propaganda e la difesa, senza stragi o avanzate inutili. Dopo la terribile sconfitta si comprese che si doveva contenere il nemico. Gli austro-ungarici fallirono l’assalto decisivo sul Piave nel giugno 1918, mentre i tedeschi si persero e caddero sul fronte occidentale. Di qui la decisione di preparare l’offensiva. Dal Monte Grappa, ad un anno esatto da Caporetto, fino alla “battaglia di Vittorio Veneto”.

L’armistizio del 3 novembre a Villa Giusti sancì la vittoria. Un incredibile risultato, portando il pensiero a quel sanguinoso e mortificante 1917.

Arrivò anche per gli italiani il tempo del riscatto. Coloro che non si conoscevano, che parlavano centinaia di dialetti tra i fucili e le bombe, proprio dentro a quella trincea in cui sembrava essersi perduto il nostro sentimento nazionale, diventarono un popolo. Unito, come mai era accaduto prima nella storia.