Come la Bibbia, tra il mare e l'ossessione: ‘Moby Dick’ e la sua leggenda

Pubblicato: Mercoledì, 18 Ottobre 2017 - Fabrizio Giusti

Moby Dick, un "poema sacro" incompreso | Paolo Gulisano blogACCADDE OGGI - Il 18 ottobre 1851 viene pubblicato il celebre romanzo di Melville. Dall'insuccesso all'immortalità

ilmamilio.it 

Moby Dick: il romanzo. Un testo ‘biblico’, di fondamentale importanza per la letteratura mondiale. La spiegazione filosofica che ha visto, sin dagli anni venti del Novecento, la massima notorietà e una moltitudine di spiegazioni. Ed è meglio affermare, ancora oggi, che la libertà di interpretazione, imbattendosi nelle sue pagine, è la cosa migliore che ci possa accadere. Senza condizionamenti e senza imposizioni nozionistiche.

Quando Herman Melville scrisse il suo racconto prese spunto da avvenimenti reali: l’affondamento della baleniera Essex e l’uccisione, in seguito, del capodoglio albino Mocha Dick. Tuttavia il senso dell’opera ha probabilmente origini arcaiche, visto che il mostro marino, il Leviatano, simboleggiante il caos, la confusione, la brutalità, era già presente nelle scritture di molte culture.

Moby Dick è il bianco. Il bianco dell’innocenza, della grazia, il divino, la purezza, ma anche il vuoto, la morte, il fascino e la paura. Tutto in contrasto, come nell’anima dell’uomo. Così, il capodoglio protagonista del romanzo è forse la propaggine dell'essere umano stesso nella sua lotta interiore.

Romanzo di alterne fortune,  pubblicato il 18 ottobre del 1851 con il nome di "The Whale", oggi è amato da scrittori, filosofi, storici. All’epoca non andò esattamente così.

La storia della ‘balena bianca’ e del capitano Achab passando da un'edizione a un'altra - dove furono presenti anche autocensure dallo stesso autore - fu soggetto a errori di copiatura, cambiamenti e accolto tiepidamente dai lettori. Quando Melville morì, nel 1891, aveva venduto tremila copie. Poi, con il nuovo secolo, gli eventi cambiarono e negli anni venti il romanzo trovò una popolarità insperata. Postuma, purtroppo. Venne tradotto in italiano per la prima volta all’inizio degli anni trenta da Cesare Pavese, che non riuscì a farlo pubblicare. Solo nel 1932 l'editore Frassinelli lo fece stampare nella sua casa editrice come primo titolo della Biblioteca europea.

Moby Dick. Achab. L'equipaggio del Pequod. In tanti ci sono passati sopra con gli occhi e con l’immaginazione, in una dimensione fuori dal tempo, da una collocazione precisa, corretta. Lo stesso Pavese scrisse: “Leggete quest'opera tenendo a mente la Bibbia e vedrete come quello che vi potrebbe anche parere un curioso romanzo d'avventure , vi si svelerà invece per un vero e proprio poema sacro cui non sono mancati né il cielo né la terra”.

La Bibbia e la descrizione di una titanica impresa, dicevamo, che partono da quelle primissime parole: “Chiamatemi Ismaele”, Call me Ishmael. Nella Genesi il figlio di Abramo, il fanciullo scacciato con la madre schiava nel deserto, luogo in cui impara a sopravvivere, in solitudine, contro le sue avversità (per dirla con Emile Zola).

Il bene e il male, la sfida dell’uomo con le forze della natura, l’oceano dei mostri, la diversità.

Moby Dick si espone al pensiero di tante letture. Ma più ancora ad essere potente è la carnalità emanata da quelle pagine, dentro alle quali si percepisce l’ossessione, la sete di vendetta nei confronti del cetaceo, colpevole di aver mozzato una gamba al capitano. Da qui si dipana un incredibile viaggio che muta in un inno al mistero della vita, ove la ricerca della balena è soprattutto una possente tragedia a cui assistiamo, tutti i giorni, nella vita di ogni uomo che cerca la sua ossessione, appunto, il suo male da combattere, e forse, alla fine, solo il modo di trovare se stesso per morire in fondo al mare e rinascere sotto altre forme. Così come Achab e il suo equipaggio - ancora oggi celebrato e discusso - nonostante la tragica fine.

"Infatti, egli aveva innanzi a sé un'attesa di trecentosessantacinque giorni e altrettante notti, e invece di passarla a terra soffrendo impaziente, avrebbe impiegato quel lasso di tempo in una caccia mista, nel caso in cui la Balena Bianca, trascorrendo le vacanze in mari molto lontani dai suoi periodici siti di alimentazione, avesse mostrato la sua fronte rugosa al largo del Golfo Persico, o nella Baia del Bengala, o nei Mari della Cina, o nelle altre acque frequentate dalla sua specie. E così i monsoni, i pamperi, i maestrali, gli harmattan, gli alisei, tutti i venti, insomma, tranne il levante e il simun, avrebbero potuto sospingere Moby Dick entro il cerchio tracciato dalla scia del Pequod, nel suo tortuoso zigzagare per il mondo".

E chi impazzì dietro all'odio e alla propria cecità, non tornò mai più.