Dom Giovanni Franzoni, l’Abate ‘ribelle’ che si fece ‘cattolico marginale’. Un teologo mai banale

Pubblicato: Martedì, 14 Luglio 2020 - Fabrizio Giusti

 

ACCADDE OGGI – Il 13 Luglio 2017 la scomparsa dell’ex Abate di San Paolo Fuori Le mura, protagonista di un momento di profonda riflessione dentro la Chiesa

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Dom Giovanni Franzoni (Varna, 8 novembre 1928 – Canneto Sabino, 13 luglio 2017) è stato etichettato nel corso della sua vita e della sua opera in tutti i modi: ‘Abate Rosso’, ‘Abate Ribelle’, ‘Abate Eretico’. Lui, con più moderazione, si definì un “cattolico marginale" in un’autobiografia. Una specificazione azzeccata. Durante il rumore della guerra ideologica, ed anche successivamente, è stato infatti messo ai lati, dimenticato, pur avendo sempre voce, dialogo ed intelligenza acuta con cui interloquire.

Nato a Varna, gli capitò di passare per Firenze, città in cui esisteva un fermento culturale attorno alla Chiesa che farà parlare di sé: Padre Ernesto Balducci, Giorgio la Pira, Don Milani. Militò da giovane nell’Azione Cattolica. A 19 anni entrò in seminario, nel collegio benedettino all’Aventino. Nel 1950 cominciò il suo noviziato nel complesso abbaziale di San Paolo, a Roma, fino a prendere i voti. Fu poi inviato nel Monastero di Farfa. Iniziò ad insegnare storia e filosofia . Avrebbe dovuto chiudere ogni attività, invece rivitalizzò quella comunità aprendo la scuola media per le ragazze, creando serate ludiche, rinnovando il rapporto con i giovani. Una fiducia completa nei ragazzi che ritroveremo anche più tardi.

Nel 1964 diventa Abate di San Paolo. Paolo VI, con un gesto particolare di benevolenza, gli regalò un anello d’oro. Anni dopo sarà donato per una sottoscrizione a sostegno dell'ospedale di Gaza.

Il ruolo di Abate diede la possibilità a Dom Franzoni di partecipare al secondo Concilio Vaticano indetto da Giovanni XXIII, a soli 35 anni. Non intervenne mai, ma fu un atto di formazione di fondazione delle proprie convinzioni.

Nel tempo delle frazioni ideologiche, disturbò un certo clero con le sue omelie contro la guerra nel Vietnam, le speculazioni edilizie della Gerarchia cattolica, il dialogo politico nell’ottica di un socialismo dal volto umano e di una cattolicità schierata al fianco degli ultimi.

Si fece, in quel periodo, portatore di ulteriori istanze di cambiamento, richiamandosi alle comunità cristiane di base e alla necessità di dare un senso alle origini storiche della fede. Nel tempo della contestazione, vivendo tra i giovani, comprese i bisogni della società, iniziando ad applicare la preghiera come un evento comune, partecipato e riflessione, fino alla scelta condivisa delle omelie.

Nella radicalizzazione di un rapporto tra autorità e la sua realtà, iniziarono i primi problemi. Prima attraverso dei momenti di tensione politica che sfociarono persino in una incursione violenta di alcuni attivisti missini durante una liturgia, poi direttamente con la gerarchia pontificia, quando si schierò contro i licenziamenti all’interno di un’opera del Vaticano, fino ad arrivare ad esprimere delle simpatie per quel Pci di Berlinguer che sembrava rassicurare anche i più perplessi nel rapporto tra comunismo, processi democratici e distanziamento dalla ‘teca ideologica’ di Mosca.

All’inizio del 1974 Franzoni aveva già lasciato la Basilica e abitava in un appartamentino di via Ostiense. Il quotidiano “Il Tempo” scrisse: “L’abate rosso si è messo da parte: speriamo che stia tranquillo”.

“In Vaticano – raccontò in un intervista a “La Repubblica”, citando i tempi dell’allontanamento - mi denigravano. Dicevano che mi ero venduto al Pci. Una domenica in basilica un giovane pregò perché suo figlio potesse crescere in una Chiesa dove non si faceva speculazione finanziaria. Paul Mayer, a quel tempo segretario dei Religiosi, reagì. Mi disse che visto che ero così "democratico" dovevo accettare le sue condizioni: sottoporre ogni atto pubblico al parere dei superiori. Presi tempo. In una riunione della Comunità si alzò Vincenzo Meale. Disse che dovevo obbedire perché altrimenti sarei stato l'unico a pagare. Però, spiegò, "è certo che se accetta le censura, la mia esperienza con la Comunità finisce qui". Fu un lampo, un'illuminazione appunto. Risposi: "Ho capito". E il lunedì seguente dissi a Mayer che volevo dimettermi. E così ebbe inizio la mia nudità".

La nudità, appunto. Franzoni ardiva a recuperare il Gesù autentico, quello spoglio di orpelli, il messaggero di una nuova visione del mondo e dell’umanità, scevro da decorazioni o addirittura ricchezze.

Nel periodo del referendum sul divorzio, che interrogò profondamente il mondo cattolico nonostante la presa di posizione ufficiale, gli dissero di cercarsi una diocesi. Chiese il trasferimento a Frascati, nei Castelli Romani. Nei suoi ricordi, spiegò l’aneddoto così: “Volevo che l’esperienza con il nostro gruppo di laici non finisse con la mia uscita da San Paolo. Cercai di nuovo il Cardinal Poletti, e, dopo avergli spiegato che la sentenza di sospensione a divinis era a mio avviso invalida perché io avevo ubbidito all’ingiunzione di non parlare più in pubblico disdicendo tutti gli appuntamenti, lui ammise che forse effettivamente c’era stato qualche errore ma si appellò alla mia comprensione delle procedure e delle prassi ecclesiastiche per cui non dovevo aspettarmi che la Chiesa ammettesse pubblicamente di avere sbagliato. Mi suggerì inoltre di trovare un vescovo benevolo pronto a incardinarmi nella sua diocesi. Contattai Monsignor Luigi Liverzani, a Frascati, la diocesi più vicina. Era una persona informata, aperta, vicina al mondo del lavoro, mi avrebbe preso nella sua diocesi senza alcuna condizione. Presentai quel nome a Poletti e il vicario mi rispose che Frascati era troppo vicina a Roma. «C’è un chilometraggio minimo, vostra Eminenza?».

La riduzione allo stato laicale avvenne il 4 agosto 1976. Quando arrivò la lettera era a Nusco, in provincia di Avellino. “Andai in trattoria con i ragazzi. A metà del pranzo mi si bloccò lo stomaco, la gola. Non riuscii a deglutire nulla. Per oltre due anni ho fatto fatica a inghiottire cibo asciutto”, ricorderà.

Così l'ex Abate aprì una sua Comunità di Base. Si era già lasciato affascinare, in quegli anni dalle tematiche contraddittorie di Roma e di un quartiere popoloso come San Paolo, in parte borghese e per larghi strati confinante e compenetrante con fasce di emarginazione, di baraccati e povertà degli altri quartieri vicini. Continuò a mettere insieme laici, donne, uomini, giovani, credenti. Lottò da pacifista e per gli operai licenziati. Quando lasciò il suo incarico, era già stato il tempo della sua lettera pastorale “La terra è di Dio”, in cui si denunciavano le speculazioni edilizie del Vaticano a Roma.

Fu il suo modo di pensare ‘Fuori le mura’ , come la Basilica, intraprendendo un percorso fatto di autonomia e libertà di coscienza per tutta la sua esistenza. Continuando a far discutere per le sue scelte.

Si è definito ‘marginale’, sì, ma molti dei temi che affrontava allora oggi sono storicizzati, sono nella società che viviamo, e a decennio di distanza da quel ‘conflitto’ doloroso hanno tutt'altro senso e fanno di ‘Dom’ (dal latino Dominus, è il trattamento riservato ai monaci benedettini) Franzoni un cristiano originale, inedito, ricco di spunti e considerazioni che hanno diviso, certo, ma come giusto che sia. Ricercare che 'qualcuno che tutti cerchiamo' (per dirla con Padre Turoldo) è sempre un cammino di strade tortuose, d’altronde.

Teologo mai banale, argomentava le sue tesi. Sempre. In lui resisteva quella ‘Chiesa plurale’ che escludeva le scomuniche e pensava una casa comune in cui tutti potesse parlare.

Coniugato dal 1991 con una giornalista giapponese atea, considerò Paolo VI, che avallò la sua riduzione allo stato laicale, il Papa più progressista e antitemporalista del Novecento. Era stato, del resto, il primo Pontefice a rinunciare al triregno, la corona utilizzata a partire dal medioevo come simbolo di sovranità.

Idee che portarono Don Franzoni lontano da un certo sistema. Il suo nome, nel 2012, sarà omesso dall'elenco dei padri conciliari, in occasione delle celebrazioni ufficiali per i 50 anni dall’apertura del Concilio. Un momento doloroso, l’ennesimo. Un riabilitazione mai avvenuta, diversamente da altri sacerdoti o figure della Chiesa che con il tempo hanno trovato una loro ricollocazione ideale e culturale.