I 70 anni di Adriano Panatta: "Se potessi inviterei qualche amico che non c'è più"

Pubblicato: Giovedì, 09 Luglio 2020 - redazione attualità

 

Panatta e la nostalgia dei naufraghi - Attualità - Il CentroROMA (attualità) - Il grande tennista festeggiato dal mondo dello sport

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"Con chi festeggerò? In famiglia, ma se potessi inviterei qualche amico che non c’è più: Mario Belardinelli, Umberto Bitti Bergamo, Vincenzo Romano, Chiarivo Cimurri, Paolo Villaggio. E mio padre". Lo afferma la leggenda del tennis italiano, Adriano Panatta, che oggi compie 70 anni, nel corso di un'intervista a 'La Stampa' nella quale ha ripercorso la sua vita e la sua carriera.

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"Vivevamo al Parioli, mi ricordo il pizzetto del maestro Moretti, la nevicata del ’56. Non sapevo di vivere nel Dopoguerra: me ne accorsi quando al Campo Parioli tolsero le baracche degli sfollati per farci il Villaggio Olimpico. Demolirono il vecchio Stadio Torino, dove mio nonno Pasquale era custode, per costruirci il Flaminio. I 200 metri di Berruti li vidi in diretta tv. Negli Anni ’60 ci trasferimmo all’Eur. Moderno, bellissimo, però ogni giorno dovevo farmi 20 chilometri in bici per andare a giocare al Parioli. Belli i sette colli, ma se devi pedalare… Poi mio padre mi comprò il velosolex e mi sentivo il re del mondo. Giravo con il sole, la pioggia, i giornali sotto la maglietta per proteggermi dal vento".

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Con 'Il Manifesto' sotto il braccio. "Sì, ma solo per fare incazzare Mario Belardinelli, che era fascista - ricorda Panatta -. Ero molto più moderato di quanto volevo far credere". E senza manager e addetto stampa. "Un giorno mi chiama la Pirelli, vado a Torino, da solo. Sede megagalattica, uffici enormi. L’amministratore delegato mi spiega che vogliono fare una scarpa Superga con il mio nome, mi chiede se ho una richiesta. ‘Sì: 100 milioni’. Ma lo sa – mi fa – che io ne guadagno 36?’. ‘E lei lo sa che io tiro le palle sulle righe?’. Ha firmato".

Sugli italiani dice: "Un popolo meraviglioso. Poi mi infurio quando vedo gli scemi che ballano e cantano senza mascherine. Non userei il lanciafiamme di De Luca, che pure mi ha fatto sorridere, ma l’idrante sì. Siamo un paese pieno di eccellenze, che a volte spreca il suo talento". Il vincitore del Roland Garros spiega poi la decisione di vivere a Treviso. Un romano come si trova? «È una città civile, molto bella. L’anno prossimo qui inaugurerò un centro tennis molto importante. Ho trovato la mia dimensione, la metropoli ormai mi dà l’ansia. Roma la adoro, figuriamoci, ma appena arrivo al raccordo anulare mi incazzo…".

Poi la riflessione sul tennis di oggi: "Hanno venduto la Coppa Davis, una vergogna. Per anni hanno messo i manager della Disney a governare lo sport, ora per fortuna c’è Andrea Gaudenzi, che di tennis ne capisce". Dopo Federer che succede? "Ci dispiacerà non vederlo giocare, ma arriveranno altri campioni, come sempre. Morto un papa, se ne fa un altro". Molto romano. Per chiudere: di che cosa va fiero? "Di aver reso popolare il tennis. E di essermi comportato sempre bene con le persone. Senza portare rancore a nessuno".