Luciano Manara, morte di un italiano. Il sacrificio di una generazione

Pubblicato: Martedì, 30 Giugno 2020 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 30 Giugno 1849: ricordo del combattente milanese che morì per Roma e la sua Repubblica

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Pochi giorni prima del fatidico giorno Luciano Manara aveva scritto una lettera all'amica Francesca "Fanny" Bonacina Spini: "Noi dobbiamo morire per chiudere con serietà il Quarantotto. Affinché il nostro esempio sia efficace, dobbiamo morire". Il 30 giugno del 1849, durate l'eroica difesa di Villa Spada, negli ultimi giorni di resistenza della Repubblica Romana, venne colpito a morte. Mantenne la sua consegna, fino all'ultimo.

Le esequie furono celebrate nella chiesa di San Lorenzo in Lucina e l'omelia pronunciata da Don Ugo Bassi, il frate barnabita che combatteva, barricata su barricata, contro l'esercito francese di Oudinot al servizio di Papa Pio IX. Il religioso venne poi fucilato qualche giorno dopo, lontano dalla città, mentre era al seguito di Garibaldi verso Venezia.

Il corpo di Manara rimase per qualche tempo a Roma, ma la madre non riuscì ad ottenere da Vienna il permesso per riportarlo a Milano, dove era nato nel 1825. Poi fu traslato con le spoglie di Emilio Morosini e di Enrico Dandolo via mare, fino a Genova e da qui a Vezia (Lugano), dove venne sepolto temporaneamente nella tomba di famiglia dei Morosini. Nel peregrinare della sua salma, c'è anche la fatica di una generazione nel raggiungere il suo sogno, raggiunto quasi venti anni più tardi.

Luciana Manara fu uno dei figli del Risorgimento, di quella gioventù così coraggiosa.

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Nato in una facoltosa famiglia della borghesia meneghina, fu amico di Carlo Cattaneo, frequentò le lezioni della scuola di Marina a Venezia, soggiornò a lungo in Germania e in Francia. Partecipò alle Cinque Giornate di Milano, capeggiando la conquista di Porta Tosa, poi Porta Vittoria. Al servizio del Governo provvisorio, con un gruppo di 500 volontari da lui stesso organizzato, i Bersaglieri Lombardi, si distinse per carisma e spirito di fraternità. Inquadrato, con il grado di maggiore, nei Corpi Volontari Lombardi, prese parte nel mese di aprile al tentativo di invasione del Trentino con il compito di occupare Trento.

Nella breve parentesi della ripresa della guerra contro l'Austria e la sconfitta dell'esercito sabaudo nella battaglia di Novara, Manara lasciò il Piemonte per partecipare alla difesa della Repubblica Romana con i suoi 600 bersaglieri.

Dopo diversi combattimenti contro le truppe borboniche, venne promosso fino al grado di colonnello. Nominato da Garibaldi Capo di Stato Maggiore, si impegnò per la difesa del principio che univa tutti i combattenti della Repubblica e così perse la sua giovane vita. Si consumò a quel punto il sacrificio di un ragazzo milanese di 24 anni che era venuto a morire per Roma. Aveva scritto che per concludere l'avventura che lo aveva entusiasmato nei suoi anni migliori era giusto perire perchè pur nella sconfitta avrebbe avuto più senso lasciare la memoria e il sangue come tributo per proseguire più in là la battaglia nella consegna del testimone alle nuove generazioni, a chi sarebbe venuto dopo. Così fu. E drammaticamente ebbe ragione.

Il suo corpo continuo ad errare, come detto. Per ben otto anni. Poi, dopo continue insistenze, l'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe I concesse il permesso di riportarlo a Barzanò, dove la famiglia aveva una villa, in forma "strettamente privata".

Solo dopo l'Unità d'Italia, nel 1864, ai Manara venne infine concesso di erigere la tomba di famiglia. Finalmente in pace. E in una Patria quasi totalmente unita. Nel 1870, infatti, anche Roma venne presa, facendo terminare il potere temporale dei Papi.

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