Vittorio Gassman, il gigante dell’arte che navigava nel mare delle infinite emozioni

Pubblicato: Lunedì, 29 Giugno 2020 - Fabrizio Giusti

gassman-mamilio.itACCADDE OGGI – La sua morte, il 29 Giugno del 2000

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Vittorio Gassman è, ancora oggi, un patrimonio della nostra cultura nazionale. Lo è per quel che ha dato e per quel che ci ha lasciato.

Lo hanno chiamato il "Mattatore", appellativo che lo ha sempre accompagnato dal 1959, quando ebbe un grande successo televisivo in uno spettacolo che poi fu recuperato da una commedia di Dino Risi.

Gassman sapeva fare tutto. Era nato per l’arte, per la scena. E’ qui che trovava la sua massima esplosione di luce. Un uomo che ha deciso anche di mostrarsi interamente, nei dettagli intimi e fragili della sua esistenza. Lui, che sembrava così sicuro e capace di mettere soggezione per grandezza attoriale, carisma e fisico, lui che sembrava così incarnare un’idea di perfezione, rivelò, ad un certo punto della sua vita, la sua depressione. Fu umano tra gli umani, ma con una qualità: quella di saper navigare nel mare delle emozioni.

Sembrava avere la necessità di superarsi ogni volta. Non ha cercato mai la banalità, l’etichetta precisa, il filone che gli garantiva la sussistenza. Ha scommesso, ha rischiato, si è messo in gioco.

Gassman era nato a Genova il 1 settembre del 1922. Era il secondo figlio di un ingegnere tedesco e di una casalinga toscana. A Roma passò la sua infanzia, studiando poi al liceo Tasso. Si distinse come giocatore di pallacanestro, arrivando a far parte della nazionale universitaria.

Il suo debutto teatrale avvenne a Milano nel 1943, con Alda Borelli, nella Nemica di Dario Niccodemi. Si spostò quindi a Roma, al Teatro Eliseo, unendosi a Tino Carraro ed Ernesto Calindri in un trio che rimase celebre per la capacità di passare dalla commedia al teatro intellettuale.

Si diplomò presso l’Accademia nazionale d'arte drammatica. Fin da giovane ebbe quella presenza scenica del prim'attore che gli consentì di muovere passi importanti.

Bello, atletico, sul palcoscenico non ha mai avuto difficoltà a ottenere consensi. Un attore di teatro straordinario, ma che poi scoprì il cinema riuscendo a traslocare il suo talento anche lì, cosa non facile per chi proviene da un genere diametralmente diverso per approccio, recitazione e tecnica. Lui, che aveva lavorato con Luchino Visconti e Squarzina e che era stato Amleto ed Otello, si trovò, nel mezzo di questo percorso attore in "Riso amaro" di Giuseppe De Santis nel 1949. Ma fu poi, qualche anno dopo, il grande regista Mario Monicelli a offrirgli l'occasione di essere un’altra cosa, diversificandogli la carriera, la percezione sul pubblico, la sua stessa esistenza. Trasformandosi nelle sembianze e nel volto, con "I soliti ignoti" (1958) Gassman incontrò il successo nel modo meno atteso: la comicità. Con Peppe "er Pantera", pugile con la parlata incerta, indossò una maschera che lo avrebbe accompagnato ancora per lungo tempo. Fu l'inizio di una ascesa che lo consegnò alla storia della commedia all'italiana come uno dei "quattro colonnelli": Sordi, Tognazzi, Manfredi. Lui. Ognuno diverso dall’altro. Per storia e storie. Ma tutti capaci di interpretare, con i propri stili, l’Italia del dopoguerra fino agli anni ottanta.

Così arrivò una stagione fortunata con registi del calibro di Dino Risi, Luciano Salce, Luigi Zampa, Ettore Scola e film come il ‘Il sorpasso’, ‘L’Armata Brancaleone’, ‘La grande guerra’, ‘La Marcia su Roma’, ‘In nome del popolo italiano’, ‘I mostri’, ‘C’eravamo tanti amati’, ‘Profumo di Donna’.

Chiuderà la carriera là dove l'aveva iniziata, in palcoscenico, tra l'intensa recitazione di pagine poetiche, una memorabile edizione della "Divina Commedia" e l"Ulisse e la balena bianca".

In un’intervista a Eugenio Scalfari disse: L'attore è come una scatola vuota e più vuota è meglio è; interpreta un personaggio e la scatola si riempie, poi il lavoro finisce e la scatola si svuota. Mi hanno raccontato che una volta Gary Cooper ancora ragazzo guardava fisso davanti a sé in silenzio. La mamma gli domandò: che pensi? Rispose: non penso assolutamente a nulla. E la mamma: allora sarai un buon attore. Vede, l'attore non dev'essere particolarmente colto e nemmeno particolarmente intelligente; dev'essere - forse - anche un po' idiota. Sì, sì, se fosse anzi completamente idiota sarebbe un grandissimo attore".

Fu esempio di baldanza, ma anche fragile, autentico, timido, riflessivo, colto. Aveva il senso dell’amicizia e della compagnia preziosa, quella che ti arricchisce. Era il più completo: teatro, cinema, lettere. Con una voce profonda e variegata che sapeva raccontare ed è rimasta, per tecnica e profondità, nella memoria collettiva.

Sembrava un principe, ma era un uomo che sapeva nascondersi e trasformarsi, come ogni attore, con uno spessore e una cifra enormemente più alta rispetto alla media.  Aveva sensibilità e tensione interiore, I suoi lineamenti, che ricordavano la classicità, era sempre mobile, espressiva, multiforme.

Io mi sono sempre fatto vedere, mi sono esposto e, a teatro, credo addirittura d'aver avuto un certo coraggio, che per me, date le premesse, è il massimo" , disse.

Sbocciava da ogni terreno. Per questo è rimasto.