Demetrio Stratos: voce, sperimentazione e rivoluzione. Un talento fuori dai recinti

Pubblicato: Sabato, 13 Giugno 2020 - redazione attualità

ACCADDE OGGI – La morte di un grande artista, il 13 giugno del 1979 

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Un uomo, nel corso della sua esistenza, può sfidare i suoi limiti, porsi degli obiettivi al di là dell’esistente. Il più delle volte può precipitare a causa del suo senso spericolato, a volte compiere le le sue imprese. Giunto alla meta, poi, è possibile che non si accontenti di quel che ha conquistato. Fino a riconciare daccapo.

Demetrio Stratos (Alessandria d'Egitto22 aprile 1945 – New York13 giugno 1979), si spinse oltre ogni immaginazione. La sua voce, questa eccellenza che egli aveva in dote e che non smise mai di allenare con percorsi inauditi, si incastrò benissimo, come un tassello in un puzzle, nel grande e colorato “murale” del decennio più complesso del dopoguerra italiano: gli anni settanta.

Stratos è stato in grado di intraprendere uno spettacolare ed immaginifico percorso all'interno di spazi diversi e contrastanti. Non è appartenuto a una corrente, a una gabbia ideologica, a una riserva. Lui era l’esempio dell’esplorazione artistica. Non si accontentava di quello che aveva: faceva del tutto per donare a più persone quello di cui si era arricchito.

Nacque ad Alessandria d’Egitto e morì a New York. Venne sepolto, dopo la sua prematura morte per aplasia polmonare nel 1979, a Salsomaggiore. Trascorse i primi tredici anni di vita ad Atene, studiando pianoforte e fisarmonica al prestigioso "Conservatoire National d'Athènes". Di famiglia cristiano-ortodossa, poté assistere alle cerimonie accompagnate da musica religiosa bizantina. A questo si unì il suo interesse per la musica araba tradizionale. Studente a Cipro, nel "Collegio Cattolico di Terra Santa" di Nicosia, a diciassette anni si trasferì a Milano, dove si iscrisse alla Facoltà di Architettura del Politecnico. Formò subito un gruppo musicale studentesco di soul e blues e fece esperienza in diversi studi di registrazione. Quindi la svolta nel 1966, come pianista e voce solista al gruppo beat de ''I Ribelli'', legati al “Clan” di Celentano (‘Pugni chiusi’ il maggior successo). Infine arriva alla fondazione degli “Area” (1973), finendo per partecipare alla realizzazione di esperimenti raffinati, benchè poco noti.

Durante le esibizioni alle quali partecipava Stratos c’era la possibilità di ascoltare la fusion mediterranea, di attraversare la romanza per arrivare al rumore, al cantato ed al grido, fino all’indagine anticipata (di anni) sul cosiddetto “patrimonio etnico”. Quindi la musica free-jazz e quella di protesta, la sperimentale e la folcloristica, i concerti nei circuiti alternativi come Parco Lambro, in quelli non-commerciali e quelli a “voce sola”.

Sapeva esprimere tre note simultaneamente con delle estensioni e delle tonalità del tutto ineguagliate. Il suo, prendendo a prestato le parole di qualche critico, è stato un fenomeno vocale paragonabile solo a quello della Callas, regina della lirica. Pari alla sua professionalità solo la mai troppo apprezzata Giuni Russo, le cui elasticità erano irraggiungibili anche per i tasti estremi di un pianoforte.

I testi degli “Area”, formazione-simbolo del proletariato giovanile degli anni settanta, così come la loro musica, hanno fatto da colonna sonora alle motivazioni della massa e hanno guardato la realtà con linguaggi che agivano spesso al di sopra dell’espressione di un concetto. E lo stesso Demetrio, ancora quando si dedicò purtroppo incompiutamente al campo dello studio e della ricerca personale (tutto nacque dall’osservazione della figlia neonata) non tradì mai questa idea entusiastica del fare musica senza fuggire gli insegnamenti delle arti e delle melodie preesistenti.

Era desideroso di scoprire la ‘meccanicità’ del suono. Nel 1977, entrò in contatto con Franco Ferrero, uno studioso di foniatria. I due si misero a studiare come effettuare determinati vocalizzi poco usati nella cultura occidentale. Il risultato fu straordinario. Stratos arrivò ed emettere suoni che realizzati attraverso la vibrazione delle corde vocali in diverse posizioni articolatorie fornivano risonanze bitonali. Emulare lo scacciapensieri oppure emettere fischi a bocca aperta senza far vibrare le corde vocali si tramutarono in metodi di analisi sorprendenti. Demetrio arrivò addirittura a raggiungere i 6000 hz (la media è di 1000-1200 hz).

La confusione ricercata degli “Area” e la passione per le innovazioni che muovevano la vita di Stratos erano conseguenti ad uno stato d’animo collettivo che ebbe la volontà di dare fuoco alle convenzioni e alle regole comuni.

Lidia Ravera, ricordando gli anni del suo impegno politico, ha detto che quello era il tempo in cui “bisognava essere esigenti”. Uno slogan di qualche anno prima, nel 1968, recitava: “Cambiamo la vita prima che la vita cambi noi”. Vista da questa prospettiva l’azione quasi scientifica di Stratos acquista ancor più valore e maggiore consistenza. In lui convissero le radicalità di quel periodo (“Il mio mitra è un contrabbasso che ti spara sulla faccia ciò che penso della vita”), le violenze, l’impegno (“Giocare col mondo, facendolo a pezzi. Bambini che il sole ha ridotto già vecchi.”) e gli aspetti più generosi e passionali della sua generazione, che poi è la stessa che gli rese omaggio in un grande concerto all’Arena civica di Milano in una manifestazione musicale organizzata poco dopo la sua precoce scomparsa.

Stratos ha voluto dire qualcosa agli uomini del suo tempo, ai suoi coetanei. Di più. Ha dato un senso melodico alle lotte di piazza e alla qualità dei suoni, alle sperimentazioni post-futuriste delle sue performance, alla gestualità ed alla teatralità magnetica e coinvolgente, alla carica esplosiva del rock. Acquisisce valore il fatto che meglio di sé lo abbia dato in Italia, visto che avrebbe potuto benissimo, viste le qualità e le sue origini, essere una sorta di ‘apolide’. Egli fu assolutamente unico nel genio, nella creatività, nelle provocazioni, interpretando, in molti aspetti, le “grida” che venivano dall’esterno e riportandole nella sua musica: i segni sulla faccia degli “Indiani”, i gas lacrimogeni, le bottiglie incendiarie, le cariche della polizia, la cronaca delle radio libere, i rumori sordi e quelli acuti delle esplosioni, il boato della folla. Ma anche la gioia, il bisogno di avvicinarsi e di stare insieme, di fare festa, di cambiare, di ridere. La sua strabiliante ricerca porta molte suggestioni ancora da studiare.

Ha preferito uscire dai recinti. Per questo è stato un grande artista. La sua anima mediterranea rimane uno straordinario punto di riferimento.