Caravaggio, il genio della realtà e del popolo svelato

Pubblicato: Venerdì, 29 Settembre 2017 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Nasce il 29 settembre del 1571 a Milano un talento senza pari. Prima dimenticato, poi recuperato e amato nella società moderna

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C’era il suo tempo e quelle città di un primo girovagare curioso. Milano, Venezia, Brescia, Bergamo. Poi c’era Roma, dove esplose il suo talento. Il reale, la luce, il buio. I ragazzi e le ragazze, la strada, il popolo dai piedi sporchi inginocchiati davanti alla Madonna, una scenografia scevra da ogni finzione per raccontare un mito religioso.

C’era il suo tempo, dicevamo, in cui egli svolgeva il ruolo di rivoluzionario dell’arte. E poi esiste il nostro tempo, in cui lui ci appare ancora moderno.

Realismo, crudezza, umanità, quotidianità, miracoli. La sua tecnica, formidabile, era già quella della fotografia, dello scatto all’improvviso, come il post di un social, un piano sequenza unico. Nessun disegno preparatorio all’origine, la creazione per presa diretta, l’osservazione e subito i colori sulla tela. Infine le contraddizioni, tra l’artista e il suo carattere, la sua maledizione, come qualcuno l’ha chiamata, o l’affermazione del pittore che odora di crimine.

Michelangelo Merisi, Caravaggio, è il pittore oggi più amato e conosciuto.

Nato il 29 settembre del 1571 a Milano, da Fermo e Lucia. Il nome da artista sarà mutuato dalla sua origine materna a Caravaggio, nel bergamasco. Nella Milano caduta sotto la guida dei francesi, ove la peste dilaga e i fasti di Ludovico il Moro sono un ricordo, egli si guarda attorno, assorbe gli slanci dei contemporanei, plasma la sua prima formazione pittorica. 

A Venezia, da apprendista, conosce l’arte del Tintoretto, ma respira anche Tiziano e Leonardo, il Cenacolo di Santa Maria delle Grazie. Appare a Roma a 24 anni, quando l’attività artistica è richiesta dalle famiglie nobili per i ritratti, dai clericali per le opere d’arte nelle chiese, dal papato per il Giubileo del 1600. Porta nella città la sua formazione di pittore lombardo di cultura veneta. Uno dei grandi miti in quel tempo era ancora Giorgione, le cui gesta erano celebrate da un secolo. Giorgione era artista di impronta laica e i primi quadri del Caravaggio, per committenti privati, seguono questa traccia. Il ‘Suonatore di liuto’, ad esempio, ritrae un giovane dalla sessualità incerta che suona accanto ad una bellissima natura morta. E’ un esempio di giovinezza ed edonismo. Un sogno che invade Roma in un periodo fondamentale per la civiltà occidentale. Un tempo in cui stanno nascendo la scienza e la matematica moderna, il tempo di Cervantes, Shakespeare, Galileo Galilei, Giordano Bruno.

Caravaggio on frequenta salotti, cardinali, aristocratici, ma si concentra nelle periferie, dove trova i suoi spazi tra locande, ruderi, vicoli, sporcizia. Le sue nature morte sono solo l’inizio di un viaggio verso la realtà quotidiana, la vita di tutti. Il fascio di luce diagonale è il grande magma dentro il quale e ai margini del quale tutto si muove e si mostra. Zingare, ragazzi, briganti. La realtà prende corpo. Non più quella immaginata, ma quella effettivamente vista. Ed anche quando la sua fama aumenta, il suo incrocio tra sacro e profano scandalizza. Una Maddalena Penitente (1594-95) è il quadro per antonomasia che descrive questa sua intuizione e volontà. La modella è un’umile ragazza attorno alla quale regna la solitudine, ove la donna riposa, addormentata, con i suoi gioielli a terra, abbandonati.

Caravaggio è il pittore della sconfitta e del dinamismo, della natura che ti ama e ti avvilisce, della scena quotidiana che diventa miracolo, racconto tra gli uomini che giocano attorno a un tavolo, di rivelazioni, smorfie di dolore, di Madonne accanto a pellegrini con gli arti fangosi, di scandali. Come nella Morte della Vergine (1606), opera rifiutata dai carmelitani per l’eccessiva quotidianità del soggetto (si pensa che Caravaggio si sia ispirato per dipingerla a Lena, una prostituta annegata nel Tevere). Nello stesso anno, il pittore è protagonista di un fatto che ne segna l’esistenza. Dopo una lite durante una partita di calcio, sfida a duello il suo avversario, che coinvolge le bande rivali del Campo Marzio. Nella colluttazione, uccide Ranuccio Tommasoni, sergente romano. Viene condannato a morte in contumacia.

Fugge a Napoli, poi è a Malta. Subisce l’espulsione dall’Ordine dei Cavalieri e viene mandato in prigione. Fugge ancora. E’ in Sicilia. Palermo, Messina. Siracusa. Lascia tracce indelebili. Torna a Napoli. Viene sfregiato per una lite in un’osteria.

L’intercessione del cardinal Gonzaga per la concessione della Grazia non arriva agli esisti sperati. Si ferma a Porto Ercole. Due giorni di prigione. Una febbre malarica lo colpisce. Il 18 luglio 1610 è l’ultimo giorno della sua vita. Muore solo, a 39 anni. Quando la notizia arriva a Roma, la grazia papale gli era già stata concessa. Tardi. Vive secoli di oblio, poi è riscoperto completamente e per la sua grandezza nel Novecento, l'epoca che lo riconosce meglio.

I ragazzi di strada, le persone dal vero, l'umanità che si nutriva di vita rischiosa: il grande artista con un'esistenza difficile, frequentatore di bassifondi, con un omicidio alle spalle, riuscì a cogliere la poesia e la nuda realtà dentro un impeto passionale, talentuoso e spirituale che ancora oggi sorprende. 

Caravaggio consumò la sua vita vivendo di istinti, di contrasti. Il male, la malattia, la morte, le osterie, l’espressione del dolore, dell’odio, dell’amore, il mondo di sotto. Nella sua arte, gli elementi di una verità, dell’uomo per quello che è nella sua mediocrità, nel suo accattonaggio morale, ma anche nelle sue poesie istantanee.  Il dramma dell’evidente. Quell’evidente in cui il sacro è entrato con la sua forza e si batte contro il male. La vitale luminosità e l’ombra. Come in ognuno di noi.