Grottaferrata, i ‘reperti sparsi’ dell’Ipogeo delle Ghirlande e l’impossibilità di godere al Museo di una scoperta nella sua interezza

Pubblicato: Venerdì, 11 Ottobre 2019 - Fabrizio Giusti

GROTTAFERRATA (attualità) – Il progetto iniziale era averli tutti nelle stanze del Monastero millernario. La chiusura e altre decisioni hanno vanificato quella che poteva essere una grande attrattiva

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Al Museo dell’Abbazia di S. Nilo, a Grottaferrata, è visibile la ricostruzione dell’Ipogeo delle Ghirlande, scoperta conosciuta in tutto il mondo (paradossalmente meno dai cittadini dei Castelli e di Grottaferrata) con i due sarcofagi marmorei di “Carvilio Gemello” e “Aebutia Quarta”. Un frammento di storia di grandissima importanza scientifica ed archeologica.

L'Ipogeo, nel corso del tempo, in qualche misura ha seguito la sorte di una celebre tomba dell'VIII sec. a.C: la ‘Tomba principesca del Vivaro’. Il corredo di quest'ultima, composto di oggetti d’oro, d’argento, ambra e una serie di bronzi di importazione (Siria, Cipro e vicino oriente), vale a dire scoperte che hanno rivoluzionato la protostoria albana e le conoscenze sulle origini di Roma, una volta disperso da scavi arbitrari fu recuperato, dopo anni di pazienti ricerche, da Bruno Martellotta e Franco Arietti, i quali lo consegnarono, nel 1984, al Museo dell’Abbazia di S. Nilo. Il corredo venne esposto per una decina d’anni, fino al 1998, anno in cui il museo venne chiuso per una serie di interminabile lavori durati vent’anni (ha riaperto nel 2018), e venne dunque trasferito al Museo delle navi romane di Nemi. E lì è rimasto, in via definitiva.

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Dell’Ipogeo delle Ghirlande, risalente a oltre duemila anni fa, è, ad esempio, l’anello di Carvilio. Il prezioso è oggi esposto a Palestrina nel Museo archeologico nazionale e Santuario della Fortuna Primigenia. Il gioiello, di una bellezza straordinaria e di grande valore, raffigura minuziosamente un volto, probabilmente di Carvillo, ritrovato al dito della madre Aebutia. Presenta, sotto il castone in raro cristallo di rocca, lavorato a cabochon, il volto del ragazzo che morì prematuramente con capelli ricci, labbra sottili, naso aquilino. E' un ritratto dal vero, di una precisione incredibile.

In una pubblicazione dell’Associazione Romana Orafi del 2000, a firma di Enrico Butini, si identifica questo incredibile reperto con queste parole: “L’anello in oro, detto di ‘Carvillo’, risulta essere un incredibile esempio di alto artigianato. La sua conservazione è da considerare perfetta essendo pervenuto fino a noi integro, come se fosse stato appena realizzato. L’originalità dell’effetto, ad uso ‘reliquario’ con l’utilizzo del cristallo d rocca, anticamente preziosissimo, lo inseriscono in quella categoria di oggetti che si possono definire unici, e di ‘valore inestimabile’.

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Di questo oggetto straordinario e di altri legati alla scoperta dell’Ipogeo si discute da anni, negli ambienti più interessati alla questione ovviamente, per un suo inserimento negli spazi espositivi di Grottaferrata, così come del recupero dei corpi o di una bellissima e particolare parrucca con la reticella d’oro che adornava il capo di Aebutia. Fin quando però il tema della “dispersione dei reperti” non sarà preso in considerazione seriamente dalla politica e della comunità locale non si potrà parlare seriamente della possibilità di mettere insieme i ritrovamenti e soprattutto godere della ricostruzione del sepolcro nella sua interezza.

Una domanda sorge spontanea: per quale ignoto motivo certi argomenti non sono mai al centro dell’impegno costante per un comune (che non ha flusso turistico nonostante l’Abbazia) per le sue attività culturali o per l’associazionismo locale al fine di sensibilizzare la Soprintendenza, il Polo Museale, gli enti sovraterritoriali amministrativi o il Mibac?

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Il rilancio tanto sbandierato, quello che porta indotto stabile e quotidiano, passa anche da qui, da questo interesse specifico. Purtroppo in questi anni, anche complice la lunghissima chiusura del Museo, non è accaduto. Di questo parleremo in un prossimo articolo che cercherà di capire cosa è accaduto in questi venti anni e come si potrebbe valorizzare il sito sulla base del contesto museologico e museografico moderno.

Tuttavia sono stati avvilenti, su tali questioni, i lunghi periodi di assenza della politica locale, che di questi argomenti non parla mai (solo durante le campagna elettorali). D’altronde, e ne possiamo essere testimoni, fino a quando non si è ricominciato a discutere della fondatezza della Carta Archeologica Comunale c’è persino in consiglio comunale chi era all’oscuro totale del documento, tanto da sorprendersi degli articoli pubblicati in questi giorni. E questo è un dato che dovrebbe far riflettere.

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