San Francesco d’Assisi, l'uomo che ha fatto scoprire all’umanità uno spirito nuovo

Pubblicato: Venerdì, 04 Ottobre 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – 4 ottobre, la ricorrenza celebrata in tutto il mondo

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La sua ''rivoluzione'' dello spirito è ancora oggi, in un’epoca di secolarizzazione, uno degli esempi più luminosi per l'umanità.

L'opera di San Francesco d'Assisi verso gli ultimi, i poveri, gli emarginati, i malati e l''altro', trovò nel suo tempo complesso e difficile una dimensione che oggi, a distanza di otto secoli, è ancora al centro delle tematiche più profonde della nostra società.

Se tutto ciò è stato possibile, è proprio perché la sua persona seppe sfidare le convenzioni, l’ordinario, la visione della sua epoca, l'odio, la prevaricazione, la guerra e la schiavitù del corpo e dell'anima. Attraverso l’umiltà, vinse il predominio e si impegnò per chi era rimasto indietro, per chi non poteva permettersi neanche il pane, aprendo una diversa visione del creato e della convivenza.

Gli argomenti per cui il Santo fece la sua scelta, abbandonando l’agiatezza per la povertà assoluta, sono ancora di forte attualità. Per questo quel 16 luglio del 1228, quando Papa Gregorio IX lo canonizzò a soli due anni dalla sua morte, rimane una delle tappe fondamentali per comprendere quanto amatissimo sia stata la identità di uomo.

Francesco è stato amato da tanti: atei o religiosi, tiranni e liberali. Questo perché la sua misura fu enorme pur non essendo un uomo semplice come si crede. Egli non volle mai sostituirsi a nessuno sul livello politico. La sua povertà, e quella di chi gli si raccolse attorno, non consisteva esclusivamente nella rinuncia alle ricchezze e non contemplava critiche verso chi possedeva denaro. La sua era una esclusiva rinuncia al potere, alla volontà di imporsi sugli altri. Non si schierò mai contro la Chiesa, si comportò solo diversamente in parole ed opere. Non polemizzando mai.

Era stato un ragazzo in armi, aveva combattuto, voleva diventare un cavaliere, aspirava alla nobiltà provenendo dalla borghesia, era dedito al cibo e al divertimento. Era un giovane brillante, che amava le feste, piaceva alle donne. Poi, a 25 anni, prese un’altra strada. Anzi, l’altra strada. Una scelta di cambiamento che lo divise in due. Così la vista dei lebbrosi, che prima lo inorridiva, trasformò il suo animo radicalmente fino allo scrivere in seguito della “dolcezza” dello stare insieme con i mendicanti e tra i sofferenti.

Francesco seppe amare il prossimo, amò la natura, scrisse e parlò diversamente. Da lui sono nate una fede, una visione del mondo ed una lingua che hanno salvato e creato un’altra immagine della Chiesa (che aveva bisogno di essere rinsaldata, come simbolicamente accadde a San Damiano) e persino della letteratura.

Un Santo, innanzitutto, dovrebbe essere considerato come un modello di vita. Tutto quello che nasce dalla sua personalità e dalle sue opere serve a poco se non se ne comprende il lascito. Per questo è fondamentale, senza retoriche, considerare soprattutto il Francesco uomo. Egli fu di là della sua epoca e spesso è stato letteralmente trasfigurato, rendendolo un po' troppo somigliante al modello dei film (alcuni dei quali molto belli) ma lontano dal reale e da ciò che fu veramente.

Ciò è dovuto al problema delle fonti, dei testi e della 'mitizzazione' che si è creata attorno al suo nome.  Tommaso da Celano, il suo primo biografo, raccontò appena due anni dopo la morte, quando era ancora viva la sua memoria e quella di chi lo aveva conosciuto, un Francesco diverso da quello di alcuni anni dopo. Come è noto, tutti questi scritti furono poi sostituiti ufficialmente dalla Legenda maior di San Bonaventura di Bagnoregio, fino alla totale distruzione di tutto ciò che era stato narrato prima. Pochissimi manoscritti sfuggirono all'annientamento e furono ritrovati solo nel corso del XIX e del XX secolo. 

Questo corto circuito fu dovuto al fatto che dopo la morte di Francesco i Frati divennero migliaia, avevano cambiato le loro abitudini, vivevano anche di forti contrasti. La trasformazione dell’Ordine religioso, nella sostanza, aveva mutato anche le esigenze del ricordo e della pratica.

Francesco invitava tutti a lavorare con le proprie mani e l’Ordine era diventato mendicante, Francesco chiedeva di vivere in capanne di frasche perché riteneva che il possesso avrebbe portato ad una difesa di ciò che si era conquistato (e dunque poteva essere una causa di conflitto). Francesco non voleva si facesse uso di cultura per non cadere in superbia. Invece, con gli anni, chi era arrivato dopo di lui viveva in bellissimi conventi ed era fornito di grandi biblioteche. Era avvenuta dunque una 'variazione' del tema originale - ovviamente fisiologica - che va contemplata per comprendere meglio la mutazione dei tempi e dei modi.

Quel Francesco che era diventato Santo, gradualmente, era in sostanza diventato una figura da ammirare, ma non da imitare.

La grandezza di Francesco, ed è questo che ce lo rende moderno, era comprendere il problema degli altri pensando alla pace ed escludendo ciò che divideva le persone e le comunità. Quando va a Damietta ed incontra il sultano d’Egitto Malik al Kamile, in piena Quinta Crociata nel giugno 1219, rimane edificato dalla dignità dei musulmani, da come viene accolto. L’evento avvenne nella tregua d’armi tra agosto e settembre, nel porto della città, dove il nipote del Saladino accolse i frati con grande cortesia, offrendo loro dei doni che vennero rifiutati in omaggio al voto di povertà.

Un momento importante, sopratutto da parte cristiana, tanto è vero che al suo ritorno, Francesco scrive nella Regola “non bollata” del 1221, che i frati dovevano vivere fra i musulmani, evitare liti e violenze, confessare di essere cristiani e sottoposti a ogni creatura. Dopo aver svolto questo compito fondamentale, se piaceva al Signore, ovvero se era nato un reciproco rispetto, i confratelli avrebbero potuto parlare del Cristo. Altrimenti, e questo è un concetto di straordinaria grandezza, avrebbero dovuto dare solo il buon esempio.

Un richiamo di dialogo e fede, spiritualità e preghiera che ritroviamo a Greccio, ove chiede di preparare una grotta col fieno, un bue e l’asino. Questo perché il Bue e a asino, nei vangeli apocrifi, erano interpretati come simbolo degli ebrei e dei pagani. Il muso degli animali dentro al fieno della stalla, nella filosofia del messaggio, avrebbe richiamato simbolicamente il grande auspicio della fratellanza. Un messaggio rivoluzionario e coraggioso in tempi in cui i Crociati tagliavano le teste per andare verso il Santo Sepolcro e gli eretici venivano uccisi. Lo stesso Francesco conosceva il significato di questa realtà, visto che da giovane, prima di scendere da cavallo e baciare un lebbroso, aveva impugnato le armi contro Perugia.

Nella testimonianza di Greccio, dunque, c’è la sconfessione della crociata, della violenza dei suoi anni. Ovvero: non siamo costretti ad andare in Terra Santa, uccidere o riconquistare il primato quando la fede può essere ovunque e in concordia. 

Alda Merini, nel suo Canto delle Creature, scrisse: "Io sono ormai il liuto di Dio/ e canterò le sue canzoni d’amore./ Malgrado non conosca la musica,/le mie mani suoneranno per lui/ tutti gli spettri della gioia./ Dio è luce: io canterò per lui/ tutti i colori della terra".

Fu proprio così. Francesco è ancora oggi forte, saldo nella sua terra. Un'impresa colossale nel secolo della globalizzazione, dell’individualismo, del primato economico e di quello della tecnologia. Un'immagine che si staglia in contraddizione e allo stesso modo come una presenza potente e necessaria. La sua letizia e la sua umiltà sono ancora di insegnamento.

Al di là dell’aspetto puramente religioso, e uscendo dall'unicità del suo percorso esistenziale, il suo nome coincide con un'alta e gioiosa struttura culturale e di libertà che serve a comprendere, a pensare, a riflettere nell’epoca in cui si comprende, si pensa o riflette sempre meno. Su noi, gli altri e ciò che ci cresce o vive affianco.