Rocca di Papa, sotto ai tralicci di Monte Cavo c'è la civiltà latina. Gli scavi di ieri (e quelli che si dovrebbero fare)

Pubblicato: Giovedì, 03 Ottobre 2019 - Fabrizio Giusti

ROCCA DI PAPA (attualità) – Monte Cavo resta ostaggio degli orribili impianti di radiodiffusione. Oggi vi raccontiamo la storia di quello che fu scoperto e che si potrebbe scoprire. Un libro ora mette in ordine la storia dei luoghi

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Monte Cavo e le sue antenne. Monte Cavo e le sue trentennali polemiche. Monte Cavo e i continui segnali di speranza. Monte Cavo e le sue sentenze passate in via definitiva. Monte Cavo e la liberazione degli impianti più volte annunciata. Questa è la storia di oggi, la vicenda degli umani contemporanei. Una realtà piuttosto deprimente, e scandalosa se vogliamo, sul piano ambientale, paesistico, archeologico e paesaggistico (e il paesaggio è difeso dalla Costituzione italiana all'articolo 9, oltre al patrimonio storico-artistico della nazione).

Un tesoro inespresso che potrebbe aprire opportunità mai immaginate, se ben sfruttate, non solo a Rocca di Papa. Perché qui sopra, tra le terre albane, è nata la civiltà latina e del mondo prima di Roma. Per secoli è stato così. Dentro il culto del mito, delle leggende, della sacralità, delle divinità e delle comunità. Tutto qui, in un percorso stretto tra pochi chilometri.

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Grazie al lavoro delle fonti, dei vari tentativi di scavo ed anche del lavoro prezioso di tanti studiosi, del lavoro di divulgazione dell’Osservatorio per l’Archeologia e l’Ambiente e dall’archeologo Franco Arietti, profondo conoscitore di questi luoghi, sappiamo oggi che gli Albani frequentarono l’area sacra posta sulla sommità del Mons Albanus. Di questo abbiamo conoscenza dal secondo millennio a.C., ove prese vita l’esperienza pre-federale delle antiche curie gentilizie albane che diede luogo alla nascita della civiltà Latina. Un modello istituzionale che formò quella Lega latina (dal VI sec. a.C.), stretta attorno al mons Albanus per la sua identità religiosa, e al lucus Ferentinae (sui Colli Albani) per quella politica.

Giove Laziale sostituì le antiche divinità albane ed ogni anno tutti i popoli del Latium vetus, il Lazio arcaico, suggellavano la loro unità sul Monte Albano attraverso le 'Feriae latinae', oggi riproposte sotto forma di rievocazione da alcune associazioni. Le 'Ferie Latinae' culminavano, come si sa da tempo, con l’atto rituale della comunione dei popoli attraverso la spartizione della carne ottenuta dal sacrificio di un toro. Infine si accendeva un gigantesco falò che tutti i Latini, composti ad un certo punto da circa cinquanta delegazioni, dovevano vedere da ogni parte del Lazio. Un fuoco sacro tratto dall’ara delle vestali (un altare identificato, e questa per molti è una novità assoluta e recente, presso Prato Fabio, nell’attuale confine di Rocca di Papa).

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Dal IV sec. a.C., Roma divenne egemone, ma la tradizione non mutò. Il ruolo del santuario rimase. Di più: il primo atto ufficiale dei consoli che entravano in carica doveva essere quello di salire sulla vetta del Monte Albano (percorrendo la Via Sacra da Prato Fabio) e indicare la data delle Ferie Latine. La cerimonia, conservata in età imperiale, non evidenzia solo un dovere cultuale di Roma all’antico santuario dei Latini, ma anche l’obbligo di venerare due entità: il mons Albanus e Alba Longa (il cui mito oggi è meglio identificato proprio presso Prato Fabio), luogo in cui è posta la nascita di Romolo, il fondatore di Roma.

Già questo dovrebbe far comprendere quale specifico tesoro sia compromesso dal sito della comunicazione nato nel posto sbagliato e che avrebbe bisogno, proprio come richiesto due anni fa dall’Osservatorio dei Colli Albani in un appello caduto nel vuoto, di un esprorio per la pubblica utilità ed anche, in previsione, di una Legge di Stato al fine di rendere possibili la bonifica e la valorizzazione del sito nella sua totalità e complessità. Ma di questo dovrebbe occuparsi la politica, sopratutto a livello sovracomunale. Speriamo che accada, anche se iniziative simili dovrebbero essere già in discussione da tempo. Invece la realtà è quella che è visibile da tutti.

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ALBA LONGA, IL MITO ERA QUI – Proprio grazie alle pubblicazioni dell’archeologo Franco Arietti per l'Osservatorio Colli Albani, già da alcuni anni, sappiamo che Tito Livio citò oltre trenta volte il Mons Albanus in connessione con l’area sacra. Fece di più, dandone una descrizione precisa: il mons Albanus corrispondeva solo ed esclusivamente dell'area sacra stessa, costituita dalla vetta e dal bosco. La via Sacra iniziava dunque non appena superata il Prato Fabio. In questo esatto punto Tito Livio indica Alba Longa: la città, secondo la sua descrizione, sorgeva alle pendici del Monte Albano, “lungo la dorsale del monte stesso”. Ciò chiarisce ora un equivoco storico a lungo dibattuto.


GLI SCAVI CONOSCIUTI
- Gli scavi archeologici sulla vetta Monte Cavo furono effettuati tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 in tre campagne di scavo. Furono finalizzati alla ricerca del “tempio di Giove”, mai trovato. Indagini che potrebbero essere riprese e con mezzi moderni e adeguati se non ci fossero tralicci abusivi, box e ripetitori.

Le fonti antiche non menzionano direttamente l’esistenza di un tempio dedicato Giove Laziale sul Monte Albano. Ritrovamenti archeologici sulla vetta o varie citazioni affermano dell’esistenza di una statua di Giove sul Monte e ciò è stato interpretato come l'attestazione dell’esistenza di un tempio. Ma su questo c’è dibattito, anche in virtù di un processo di omologazione, all'epoca, del culto di Giove Laziale a quello di Giove Capitolino. A ciò va aggiunta la scoperta di un oscillum, un ciottolo levigato dello stesso tipo rinvenuto in più esemplari nel Foro Romano.

I primi scavi sul Monte Albano risalgono al 1573, ad opera del cardinale Ursino. Molto tempo dopo fu la volta di Michele Stefano De Rossi nel 1876 per conto dell’Imperiale Istituto Archeologico Germanico, poi quelli del 1912 – 1914 di G. Giovannoni e C. Ricci e del 1929 di G. Lugli – G. Giovannoni. Il tempio non fu mai ritrovato.

Tra i primi scavi e quelli del De Rossi avvenne la costruzione dell'eremitorio del 1723. Fu di questo periodo, con una certa probabilità, la spoliazione di materiale antico e la distruzione sistematica fino al 1779 di altre evidenze con l’ampliamento del convento e la ricostruzione della chiesa. Dalle scritture del tempo emerge infatti che scavando le fondamenta furono trovati marmi, idoli di metallo con attribuzioni a Giove per lo più fulminante, rottami di statuette, un piedestallo con al di sopra i piedi di una statua di marmo, molte monete, una cisterna, statue.

Nel 1869 i Padri Passionisti rinvennero dei frammenti marmorei dei fasti consolari, la lista dei consoli che salirono sul Monte Albano per indire le ferie latine. Anche questo ritrovamento fu accompagnato dalla distruzione di una struttura, forse di una platea, come scrisse De Rossi più tardi, se non addirittura dell’edificio stesso che ospitava i fasti. Furono ritrovati inoltre mosaici ed edicole nei pressi della statua ritenuta di Giove.

Da qui una sequenza di scavi parziali, come detto, in un quadro confuso e incomprensibile. Tanto da non determinare ancora tutta la trama archeologica dell'area. 

Alcune certezze però ci sono: l’area fu frequentata prima dagli Albani, poi dai popoli latini. Del VI e V secolo a.C. è la strada strada arcaica che portava alla sommità del Monte, lastricata a partire dal III o II sec. a. C. Fu percorsa per il periodo protostorico, arcaico e medio repubblicano. Sul Monte Albano esistevano spazi cultuali a cielo aperto a cui si sovrapposero poi quelli consacrati e i culti di Giove Laziale e Giunone Moneta.

L’area, di altissimo interesse storico e archeologico, ha dunque bisogno di essere indagata, riscoperta, liberata. Dovrebbe essere così, per capire meglio il passato e sopratutto per creare i presupposti dentro i quali costruire il nuovo avvenire di queste zone.

Di questo e di molto altro si parlerà ne il volume, scritto dall’archeologo Franco Arietti, “Alba e il Monte Albano – Origine e sviluppo della Civiltà Albana” , un testo che che determina  la storia degli Albani, finora nell’ombra, dalle origini di Tuscolo, Ariccia, Lanuvio, Velletri e Labico, i territori, le loro divinità, miti e leggende ambientati ad Alba e la vetta del Monte Albano. La presentazione è stata programmata nel Comune di Albano Laziale, presso i Musei Civici – Villa Ferrajoli, alla Fiera della piccola editoria dei Beni Culturali Storia – Archeologica – Arte, Domenica 20 ottobre 2019 alle ore 17.

(Nella piantina al centro - S. M. De Rossi – Pianta degli scavi con disegno del  Codice Barberiniano. In rosso le aree scavate. Fonte: Osservatorio Colli Albani per l’Archeologia e l’Ambuente - www.osservatoriocollialbani.it/)