Pietro Germi, il non conforme che prese la sua strada e cambiò il cinema italiano

Pubblicato: Sabato, 14 Settembre 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Nasce a Genova il 14 settembre del 1914 uno dei registi e sceneggiatori che hanno influito maggiormente nella storia culturale d’Italia

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E' uno dei registi italiani più apprezzati e amati nel mondo, ma troppo spesso viene dimenticato e riposto in un angolo del nostro patrimonio culturale nazionale. Autore di grandi successi internazionali e vincitore di un Oscar per la migliore sceneggiatura (Divorzio all’italiana) e della Palma d’oro a Cannes (Signore & signori), Pietro Germi (Genova, 14 settembre 1914 – Roma, 5 dicembre 1974) è stato un genio che ha pagato la sua diversità nella visione della società. Fortunatamente il tempo gli ha dato ragione ed oggi, tra i suoi conoscitori e ammiratori, è considerato unicamente un Maestro.

Germi crebbe inizialmente all’ombra di pellicole di spessore drammatico, di critica critica sociale e politica. Nel 1952 diresse ‘La presidentessa', poi 'Il brigante di Tacca del Lupo' con Amedeo Nazzari, tratto dall’omonimo romanzo di Riccardo Bacchelli. Nel 1955 è il tempo de ‘Il ferroviere’, una grande opera. Conosce così i primi veri favori del pubblico. La pellicola è considerata ancora oggi una fra le ultime grandi espressioni del neorealismo cinematografico italiano partito a metà degli anni quaranta. Ad esso seguono film come 'L'uomo di paglia' e sopratutto 'Un maledetto imbroglio', del 1959, tratto dal romanzo ‘Quer pasticciaccio brutto de via Merulana’ di uno scrittore fondamentale: Carlo Emilio Gadda. La regià di Germi fu in questo caso uno dei primi esempi di poliziesco italiano. Aprirà una ‘filone’ a oggi ancora molto amato.

Nel 1961 spiazzò il suo pubblico aprendosi ad una svolta sorprendente: la scrittura di commedie pungenti, satiriche e grottesche con la realizzazione di film che colsero in pieno i toni satirici, cinici e umoristici che hanno dato origine alla cosiddetta ‘Commedia all'italiana’ (termine ispirato da uno dei suoi capolavori: Divorzio all'italiana).

Un regista dal tratto inconfondibile, ma anche capace di modificare la sua arte. "A me piace cambiare – dichiarò - mi annoio a fare lo stesso film. Un regista è una chitarra, sulla quale si possono suonare diverse arie, allegre o tristi, ma la risonanza sarà sempre quella, a meno che a un certo punto la cassa armonica non si incrini e la chitarra non suoni più. Ma finché la cassa è buona, c'è la possibilità di suonare cose diverse su una stessa chitarra".

‘Divorzio all’italiana’ fu uno spartiacque totale, un quadro sociale impresso tra umorismo e certi stereotipi del tempo, una dedica corrosiva  al delitto d'onore del barone Fefè Cefalù di Agramonte, capace di liberarsi della moglie che non ama per sposare la cugina, la giovanissima Angela, interpretata da una memorabile Stefania Sandrelli.

Fefé si trascina nella sua immensa dimora, si annoia, è in fondo il residuo di un’aristocrazia in declino. Il matrimonio con Rosalia (una magistrale Daniela Rocca) è finito. L’ormai quarantenne barone perde la testa per una 16enne che con la sua ingenuità lo strega. Così il barone escogita un piano: uccidere la moglie. E lo sogna nei modi più disparati. Alla fine, più materialmente, è la cronaca a ispirarlo per il finale della storia.

Dietro la trama del film, un problema reale e drammatico. All'epoca i ‘delitti d'onore’ erano più di mille l'anno: un massacro. La pena per quei reati oscillava dai tre a sette anni. L'articolo del Codice penale 587 che li 'regolava' venne abolito soltanto nel 1981.

Film di straordinaria modernità per il ritmo e la narrazione, 'Divorzio all'Italiana' fu scritto con abilità e favorito dall’interpretazione di attori straordinari. Ma è soprattutto una testimonianza che sapeva svelare il dramma e la vergogna della realtà italiana del periodo. Era quel tipo di ‘commedia’ che sapeva ferire il costume. Forse come non si riesce a fare più.

Da qui in poi la chiave trovata da Germi viene ripetuta in ‘Sedotta e abbandonata’ e ‘Signore e signori’, ove, nel primo caso, sembra affacciarsi la critica verso il mancato rinnovamento culturale del meridione e verso una società incapace di abbandonare usanze secolari. Ma con lo stesso vigore con cui aveva girato in Sicilia, Germi prende di mira un certo Nord. 'Signore & signori', con Virna Lisi e Gastone Moschin, è lo straordinario affresco sull'ipocrisia borghese di una cittadina veneta (fu girato a Treviso) che vive di chiacchiere, tradimenti, maldicenze, perbenismo. Il film vinse la Palma d'oro al Festival di Cannes, ex aequo con 'Un uomo, una donna' di Claude Lelouch.

Germi dichiarò di essere anticomunista. I critici cinematografici italiani, vicini al Pci nella maggioranza, non glielo perdonarono. Quando uscì ‘Il ferroviere’ fu accusato di aver attribuito al lavoratore Marcocci (interpretato proprio da Germi) un’identità politica che non era vicina al "vero" operaio. Tuttavia il film trovò persino elogi nella stessa Unione Sovietica. Inoltre Germi, secondo quella stessa critica ideologica, portava avanti personaggi senza una coscienza di classe, abitudinari, in fondo un pò borghesi. Da questo coro si sganciò l’intellettuale Antonello Trombadori, che scrisse al segretario del Pci Palmiro Togliatti per non allontanare i "mille come lui": “Veniamo proprio in questi giorni dall'aver visto un film italiano assai bello e commovente, certamente popolare: "Il ferroviere", di Pietro Germi. È un'opera di un socialdemocratico militante, eppure è un film pervaso da ogni parte di sincero spirito socialista”.

Nei paradossi della storia, fu proprio Germi, in quegli anni, uno dei maggiori promotori della protesta contro i provvedimenti della Procura di Milano nei confronti di ‘Rocco e i suoi fratelli’ di Luchino Visconti, notoriamente vicino al Pci.

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Morì a Roma il 5 dicembre 1974. 'Amici miei', il capolavoro di Mario Monicelli, di cui il regista genovese aveva curato la geniale ed indimenticabile sceneggiatura, uscì postumo.

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Germi è stato un grande intellettuale della società, dei suoi vizi, dei suoi declini. Aveva un carattere che lo allontanava dall'immagine dell’uomo di successo. Era poco amato dal circolo vizioso e politicizzato del cinema del suo tempo. Era – si dice - un uomo all'antica, rigoroso, poco incline ai compromessi. Pagò persino il suo essere socialdemocratico, il suo essere anticomunista e antifascista. Nonostante un certo ostracismo ebbe comunque un notevole successo. Imperdonabile, anche questo, per alcuni. 

Oggi la sua grandezza è stata recuperata, anche se rimane nascosta alle nuove generazioni e poco ricordata al pubblico. Alcuni ritengono che il suo modo di fare cinema sia di un livello irraggiungibile, poiché capace, a differenza di altri, di ambientarsi (e con qualità) in tutti i generi da grande sceneggiatore quale era, regista, attore, conoscitore del mestiere.

Il suo talento è sempre da riscoprire. Perché come tutti i grandi ha ancora la capacità di offrire spunti diversi, anche all’ennesima ‘lettura’ delle sue prove più riuscite.