Gianni Brera, l’inventore di un altro modo di scrivere e vedere il calcio

Pubblicato: Domenica, 08 Settembre 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Nasce l’8 settembre del 1919 il giornalista che cambiò il giornalismo sportivo. Per sempre.

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Giornalista, grande scrittore di sport. Il più bravo di tutti. Irriverente, 'politicamente scorretto', convinto delle sue idee e del suo andare contro gli stereotipi. Scriveva gli appunti con le lettere grandi. Il taccuino durava una partita. La fiaschetta di whisky per le serate fredde allo stadio, l'arena dove lui era uno dei protagonisti, oltre quelli che scendevano in campo appresso ad un pallone. Con quegli eroi della domenica Gianni Brera, all'anagrafe Giovanni Luigi Brera (San Zenone al Po, 8 settembre 1919 – Codogno, 19 dicembre 1992), ha cambiato un linguaggio, inventato nomi, fatto poesia dalle pagine de "Il Giorno", all'epoca il giornale più moderno d'Italia, poi al Guerin Sportivo, La Gazzetta dello Sport, Il Giornale di Montanelli e la Repubblica, cui restò legato fino al termine della sua vita.

Delle sue origini scrisse: “Il mio vero nome è Giovanni Luigi Brera. Sono nato l'8 settembre 1919 a San Zenone Po, in provincia di Pavia, e cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti (…) Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po”. Durante la seconda guerra mondiale si arruolò nel corpo dei parà e lavorò nell'ufficio stampa della Folgore. Dopo l'8 settembre 1943 interruppe l'attività di giornalista militare, e andò in Svizzera, poi venne internato in un campo di lavoro per profughi italiani, ove entrò in contatto con alcuni esponenti della Resistenza. Partigiano nella Repubblica partigiana dell'Ossola, aiutante di campo della 83ª Brigata Garibaldi "Comoli", fu l'autore del piano che evitò l'esplosione del traforo del Sempione. Da paracadutista e da partigiano, non sparò ad un altro essere umano. Lo rivendicò sempre.

Brera è stato un punto fondamentale per il giornalismo. Nel primo dopoguerra riuscì a fare la sintesi tra l’uomo di lettere e il narratore di imprese sportive, inventandosi neologismi che hanno fatto la storia e oggi sono nel linguaggio comune. Nel 1949, dopo la vittoria di Coppi al Tour de France, fu nominato direttore della Gazzetta dello Sport. Andò via tre anni dopo, quando l’editore lo accusò di comunismo: sulla prima pagina aveva fatto un titolo a quattro colonne sul russo Vlodymyr Kuc che aveva appena battuto il record mondiale dei 5 mila metri. In epoca di blocchi contrapposti Usa/Urss qualcuno storse la bocca. La politica lo coinvolse in un paio di occasioni. Nel corso della sua esistenza fu candidato alle elezioni al Parlamento nella circoscrizione di Milano-Pavia con il Partito Socialista e con il Partito Radicale.

Ma il Brera con una ‘coscienza civile’, come si diceva un tempo, poco c’entra con il Brera che ha letteralmente cambiato il modo di scrivere il calcio e lo sport. Apprezzava Chopin e Bach, e come un raffinato conoscitore delle melodie egli costruiva i suoi pensieri. 'Eupalla' è una divinità che prese forma dalle sue mani (coniato su quello di Euterpe, musa protettrice della musica e della poesia lirica), così come Abatino, Rombo di tuono, Bonimba, libero, contropiede, pretattica, cursore, disimpegno, Derby d’Italia furono sue creazioni rapide e limpidissime. Quindi Nereo Rocco: un rapporto fraterno, fatto di passioni comuni, umano amore. Quando l’allenatore triestino morì, il suo articolo iniziò così: “È morto Nereo Rocco e io non debbo nemmen pensare di poter piangere. È un diritto, ahimè, che non mi appartiene da tempo. I miei sentimenti non contano. Tanto più sarò suo amico, quanto meglio riuscirò a ricordarmi di lui senza frapporre l’amicizia fra me e il mio lavoro insolente”.

Chi ha vissuto il suo tempo, conosce il tema. Brera valeva il prezzo del giornale. Chissà cosa direbbe di questo calcio spalmato in quattro o cinque giorni, ad ogni ora. Forse non scriverebbe più. Troppa confusione, poca letteratura. Espressioni, neologismi: il suo mondo era un circo di intelligenza. Ancora oggi, il gergo calcistico che conosciamo fa man bassa dei suoi termini. Un talento mostruoso, un carattere impegnativo, un uomo che ha fatto la storia. Nativo di San Zenone Po, sempre legato alla Bassa pavese, si autodefinì “il Principe della Zolla”.  Quindi Milano. Quella Milano. Dove ancora c'era la nebbia.

Fu un grande tifoso del Genoa. ‘Quando il Genoa già praticava il football gli altri si accorgevano di avere i piedi solo quando gli dolevano”, diceva.

Morì il 19 dicembre 1992 in un incidente automobilistico sulla strada che collega Codogno a Casalpusterlengo. Un'auto che andava in senso opposto sbandò e invase la carreggiata dove viaggiava l'auto del giornalista, uccidendone i tre occupanti.

Manca alla stampa e manca al calcio. Nessuno è stato come lui, nessuno è stato capace di somigliargli o avvicinarlo. Perché Brera ha saputo stravolgere la lingua sportiva. Aveva il senso della battuta feroce e ‘politicamente scorretta’. Un’arte, la sua, capace di entrare in qualsiasi campo. Il ‘Giôann” alla fine non è mai scomparso perché continua ad esistere e a poggiare la sua impronta nelle righe scritte di ogni partita, in ogni radiocronaca e in ogni commento, spesso all’insaputa degli analisti del rettangolo da gioco.

“Il giornalismo e la povertà – confessò – hanno strangolato lo scrittore che forse mi abitava”. Ma lui, con una grande forza fisica e morale, piantò radici profondissime oltre il suo intimo sogno.

La gratitudine nei suoi confronti è ancora immensa. C’è poco da fare: la differenza l’ha fatta lui. E pochi altri.

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