Dino Risi, il Maestro. Un magnifico osservatore dell’Italia che si trasformava e si tradiva

Pubblicato: Venerdì, 07 Giugno 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Profilo del grande regista scomparso il 7 Giugno 2008

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Diceva di sé, scherzosamente, di essere un ‘fallito riuscito’. Non si considerava un Maestro, eppure lo era. Magari lo era per caso, con una definizione ironica che riteneva gli somigliasse.

Dino Risi è stato il regista e l'autore de “Il sorpasso“, “Una vita difficile“, “I mostri“, “Profumo di donna” e di altri film grandiosamente satirici sulle evoluzioni e le involuzioni del costume nazionale. 

Nato a Milano il 23 Dicembre 1916 da famiglia borghese, appena presa la laurea iniziò subito a guadare al cinema come una meta e come un sogno, frequentando la scuola di registi come Mario Soldati e Alberto Lattuada nei film "Piccolo mondo antico" e "Giacomo l'idealista".

Rifugiatosi in Svizzera, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 torna a Milano, abbandona la professione medica, per cui si era laureato, e scrive di cinema su quotidiani e settimanali. Dirige alcuni documentari ("Buio in sala") e collabora a sceneggiature con Lattuada e Steno. Il suo primo lungometraggio è datato 1952, anno in cui si trasferisce a Roma e realizza "Vacanze con il gangster". Il film successivo, del 1955, "Il segno di Venere" lo vede cimentarsi con la commedia e un cast di alto calibro: Sophia Loren, Franca Valeri, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo. Dello stesso anno è "Pane amore e...", il terzo sequel della linea iniziata da Luigi Comencini.

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Il 1956 è l'anno della svolta, con la regia di "Poveri ma belli", ritratto di un’Italia giovane e speranzosa, con Maurizio Arena e Marisa Allasio, dove le vicissitudini di un gruppo di giovani si cimentano con le prime storie d'amore ambientate nel cuore eterno della Capitale.

Risi seppe intuire il passaggio dalla fase provinciale alla satira del boom economico limitandolo inizialmente a pellicole di poco impegno (Venezia, la luna e tu è del 1958), ma sfociando poi nell'humour de 'Il vedovo' (1959) con uno straordinario Alberto Sordi, e soprattutto in “Una vita difficile”, autentico capolavoro in cui il regista racconta perfettamente, probabilmente anche in vena autobiografica, la parabola di un uomo dignitoso che si barcamena con la sua esistenza nella trasformazione che vive rapidamente l’Italia tra la Seconda guerra mondiale, la Resistenza e l’incredibile ascesa dei nuovi ricchi e dei nuovi imprenditori che si prendono la nazione e la cambiano mandando all’aria ogni ideale.

Risi trasforma Sordi nel film in un esempio della contraddizione di quegli anni: l’astrattezza dei valori che fa a schiaffi con la necessità di sopravvivere, la normalità dell’uomo comune che non vorrebbe scendere a compromessi e si piega e umilia di fronte alla quotidianità perché semplicemente va così e non si può fare nulla, fino a trovare il suo riscatto con uno schiaffo memorabile a bordo di una piscina che lo libera e lo lancia verso un avvenire indefinito. Subito dopo con 'La marcia su Roma' (Gassman e Tognazzi), mette a segno un'opera che segna in tutto e per tutto quell'epoca, ‘Il sorpasso’, manifesto mitologico di una società cialtrona che crede di essere immortale e sempre avida di benessere, ma parallelamente più vuota di riflessioni e valori.

Il Bruno Cortona interpretato magistralmente da Gassman, campione di furbizia ed esuberanza, è l’essenza di quel tragitto degli anni Sessanta che sta per sfociare, ma ancora non se ne accorge, nella contestazione, nel terrorismo e nella fine dei sogni migliori. Il film ha un preciso taglio morale, ma non lo impartisce a nessuno. E’ un pensiero libero, malinconico, spiazzante. Lo spaccone che corre sulla sua auto con il suo clacson bitonale inventa un nuovo Gassman e disegna un italiano inguaribile ottimista che prevarica tutti e alla fine, su una curva, precipita di sotto con la sua auto uccidendo il più pacato a tranquillo compagno di viaggio, che nel frattempo si è fatto ammaliare dal clima di entusiasmo.

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La straordinaria idea de 'Il Sorpasso' apre la scema a ‘I mostri’, film corale che vede all’opera come sceneggiatori Age e Scarpelli, Maccari e Scola. Una serie di sketch e di caricature su temi che aprono dentro al cinema un nuovo scenario: l’omosessualità, il cinico che guarda la scena di una fucilazione al cinema e non trova meglio che prendere ispirazione per il muretto della villa di campagna, il soldato che vende lo scoop della sorella prostituta morta ammazzata ai quotidiani, il baraccato che muore di fame e va a vedere la partita della Roma, la corruzione politica, la religione dei divulgatori cattolici star, l’educazione negativa dei figli, il pugile suonato. Una serie di profili che vengono gettati addosso al buoncostume degli italiani che a loro volta ne decretano il successo perché ci si riconoscono, in fondo. Risi, pur descrivendo le debolezze umane, è comunque critico, feroce, mai banale.

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Lo show di vizi nazionali de 'I mostri' sarà poi replicato in altre pellicole come 'Il tigre' (1967) o 'Vedo nudo' (1969). Perle assolute sono ‘Il giovedì’ (1964), film mai troppo menzionato che esalta finalmente un bravissimo Walter Chiari, e ‘Straziami, ma di baci saziami’ (1968). Ancora attuale è ‘In nome del popolo italiano (1971)’, dove già si sente l’odore dell’Italia degli anni settanta, della società che è inevitabilmente modificata, della politica che fa capolino ovunque, dello scontro tra un certo tipo di società e la magistratura, dove ci si getta nella puzza degli scandali con un ottimo duello tra l'industriale corrotto e l'irreprensibile magistrato di sinistra ricolmo di pregiudizi nei confronti del Belpaese raffigurato dal nemico ideologico con l’amarissimo epilogo che divide il giudizio sulla condizione etica del magistrato.

Poi Risi cambia registro e si lancia verso un momento di poesia, ovvero 'Profumo di donna', ispirato da un romanzo di Giovanni Arpino (Il buio e il miele), interpretato da un grande Vittorio Gassman, che spiega il tragitto verso il suicidio del capitano Fausto, privato dell'uso della vista in seguito a un'esplosione, che trova nella voglia di vivere del soldato che lo accompagna un altro momento di vita che, inoltre, viene folgorato dalla presenza di una ragazza, Sara (Agostina Belli), che si vuole occupare di lui. La depressione, il declino fisico e l’irrimediabilità della vita sono tre temi che legano il film.

Come accade a tutta la sua generazione, sul finire dei settanta la vena dell'autore si affievolisce.

Gira ‘Anima persa’, poi il riuscito ‘La stanza del vescovo’, il malinconico ‘Sono fotogenico’. Nel 1984 inizia a cimentarsi con il serial televisivo e nel 1987 centra un film comico di tutto rispetto, con un Lino Banfi eccellente: "Il Commissario Lo Gatto", ormai diventato un cult.Il commissario Lo Gatto.jpg

Del 2000 è il suo ultimo lavoro, "Bellissime", una fiction sul concorso di Miss Italia. Nel 2004, il 2 giugno, il Presidente Carlo Azeglio Ciampi gli riconosce l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce. Muore il 7 Giugno del 2008 in un residence romano, a 91 anni, dopo un Leone d’Oro alla carriera.

Anche se non amava troppo il termine, Dino Risi è stato un Maestro dell’arte, un vero Maestro. Capace di mutare Vittorio Gassman alla comicità, rendere drammatico Alberto Sordi, raccontare il boom economico guardandolo ‘dietro le quinte’, ironizzare sulla storia d’Italia, prendere in esame argomenti tabù con talento ironico e anticonformista. E se volete capire di più l’Italia di oggi, nei suoi vizi e nel suoi declini, il modo in cui si è trasformata e il modo in cui si è anche tradita nelle sue idee di speranza, è bene guardare a quella di ieri. E i film di Risi, a tal proposito, ancora ci aiutano a farlo annullando gli anni che passano o il bianco e nero.