Massimo Troisi, l'artista che ridipinse il mondo con il sorriso e la poesia

Pubblicato: Martedì, 04 Giugno 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 9 Giugno del 1994 la scomparsa del grande attore

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Massimo Troisi se n’è andato senza avvertirci, il 4 Giugno del 1994, superando la collina da cui nessuno è tornato per raccontarci come si sta dall’altra parte.

Oggi, se fosse ancora tra noi, probabilmente avrebbe ancora voglia di raccontare Napoli, l'Italia o chissà quale storia con il solito disincanto, l'ironia o la forza poetica che lo contraddistingueva.

Amatissimo Troisi, sia come comico e sia come attore poliedrico. Candidato all’Oscar per ''Il Postino'', terminato poco prima del suo improvviso decesso, aveva tracciato il solco ben prima che la gloria gli fosse riconosciuta a livello internazionale.

Era un attore anomalo e unico. Parlava in napoletano, sognava in napoletano, pensava in napoletano. Nelle interviste, nei film. Non c'era verso di cambiarne l'origine, condizionarne l'appartenenza. Fu l'esempio di come il tratto caratteristico può diventare universale e comprensibile a tutti.

Partendo da San Giorgio a Cremano verso mete più grandi, è stato un grande innovatore della concezione stessa dei luoghi in cui era nato e vissuto, rompendo tutti gli stereotipi della napoletanità con personaggi sensibili, non esattamente inclini all'arte dei arrangiarsi, reali. Comico, sentimentale o riflessivo, riuscì ad ottenere il successo con ‘La Smorfia’, film come ''Ricomincio da tre'', ''Scusate il ritardo'', oppure l’impareggiabile ''Non ci resta che piangere''. Una ventata nuova, fresca, dentro all'Italia che per almeno un trentennio si era avvitata, con onori e successi, attorno agli stessi attori e autori. Successivamente, con una trasformazione graduale, i suoi personaggi divennero sempre più articolati, indipendenti, persino spiazzanti davanti alle trame usuali a cui aveva abituato il suo pubblico, uscendo dal lato comico con ruoli più seri, persino drammatici. Le vie del signore sono finite, Pensavo fosse amore invece era un calesse, il Postino: tre perle.

E' stato un attore come pochi, una mosca bianca. Non scadeva mai nel volgare in un'epoca in cui le parolacce erano già diventate gratuite. Un uomo dissacrante, vero, nel teatro e fuori. La semplicità gli appartenne sempre. Nonostante il successo, le interviste e la notorietà lo ritrovavi sempre autentico, mai banale, raffinato nei pensieri e straordinario nei commenti su fatti inventati o reali.

Il suo talento giunse con tempi perfetti quando l'era mitica dei 'colonnelli della risata' era terminato, si stava consumando, e in Italia c’era bisogno di un ricambio, di un rinnovamento. Assieme a Carlo Verdone, Roberto Benigni e altri portò quella novità che serviva in un settore che sembrava declinante e che invece ritrovò brillantezza prendendo ispirazione da quel cabaret che aveva sostituito ormai la vecchia ‘rivista’ come serbatoio per il cinema.

Ricordando un giorno il suo amore per la ‘settima arte’ affermò: “Il film che mi ha fatto avvicinare al cinema è stato ‘Edipo re’ di Pasolini. Lo vidi a San Giorgio a Cremano, ero un ragazzo. Non capii niente, eppure ne fui affascinato. Ancora oggi Pasolini è l'autore che maggiormente mi emoziona. Ha proprio ragione Scola: per amare non c'è bisogno di capire”.

Per amare non c'è bisogno di capire, appunto. E gli italiani hanno amato Troisi perché avevano compreso nell'uomo, prima ancora che nell'attore, la poesia e quel sorriso che nasce senza troppo pensarci sopra per combattere le asperità dell'esistenza. Tant’è che di lui ancora oggi resta vivo tutto: la genialità, lo sguardo sul quotidiano, l’ironia, la leggerezza, le radici.

Una bellissima poesia, scritta da Roberto Benigni, lo ritrae così: 

Non so cosa teneva dint'a capa;
intelligente, generoso, scaltro,
per lui non vale il detto che è del Papa,
morto un Troisi non se ne fa un altro.
Morto Troisi muore la segreta
arte di quella dolce tarantella,
ciò che Moravia disse del Poeta
io lo ridico per un Pulcinella.
La gioia di bagnarsi in quel diluvio
di jamm, o' saccio, ‘naggia, oilloc, azz!;
era come parlare col Vesuvio, era come ascoltare del buon Jazz.
"Non si capisce", urlavano sicuri,
"questo Troisi se ne resti al Sud!"
Adesso lo capiscono i canguri,
gli Indiani e i miliardari di Holliwood!
Con lui ho capito tutta la bellezza
di Napoli, la gente, il suo destino,
e non m'ha mai parlato della pizza,
e non m'ha mai suonato il mandolino.
O Massimino io ti tengo in serbo
fra ciò che il mondo dona di più caro,
ha fatto più miracoli il tuo verbo
di quello dell'amato San Gennaro.

Stiamo ancora cercando in giro qualcuno che ci faccia ridere, commuovere o pensare come faceva lui. E se proprio c'è stata una eredità, una sola, è quella che ancora circola nella sua terra, così ricca di amore, di cultura e di avventura.