29 Agosto 1862: Il ferimento di Garibaldi e quella sparatoria tra 'fratelli' sull'Aspromonte - VIDEO

Pubblicato: Martedì, 29 Agosto 2017 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – La battaglia dell’Aspromonte, dentro alla quale passa un pezzo importante della nostra storia Patria...

ilmamilio.it

Aspromonte. Sant’Eufemia. Qui, il 29 agosto 1862, l'esercito regio fermò il tentativo di Giuseppe Garibaldi e dei suoi volontari di completare la marcia dalla Sicilia verso Roma e conquistare la città ancora governata dal ‘Papa Re’: Pio IX.

Vittorio Emanuele II era diventato sovrano d'Italia il 17 marzo 1861, ma il nuovo Regno non includeva ancora due tasselli fondamentali: Venezia e Roma. Quest’ultima, in particolare, era stata proclamata Capitale nella seduta del Parlamento del 27 marzo, ma tale obiettivo si scontrava con la tenacia dello Stato Pontificio, convinto della necessità di conservare il libero esercizio dell'azione spirituale.

Al momento della proclamazione ufficiale del Regno, Camillo Benso Conte di Cavour (sarebbe poi morto qualche giorno dopo) aveva dichiarato: "La scelta della capitale è determinata da grandi ragioni morali. È il sentimento dei popoli che decide le questioni ad essa relative. Ora, o signori, in Roma concorrono tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali, che devono determinare le condizioni della capitale di un grande stato. Ho detto, o signori, e affermo ancora una volta che Roma, Roma sola, deve essere la capitale d’Italia”. Un manifesto politico, su cui entrarono però in contrasto strategie ed istinti diversi tra le varie 'anime' risorgimentali.

L’AVANZATA - Morto Cavour, dopo una breve parentesi che vide per protagonista Ricasoli, il governo di Torino fu assegnato ad Urbano Rattazzi. Il nuovo presidente del Consiglio non aveva fama di essere ben disposto nei confronti del Papa. Ai tempi in cui era Ministro degli Interni del Regno di Sardegna, aveva portato persino avanti la politica di ‘soppressione delle corporazioni religiose’.

Il 27 giugno 1862, intanto, Garibaldi si era si imbarcato per la Sicilia. Il suo intento era innanzitutto saggiare di persona la popolarità in suo favore e aprire la porta ad un'eventuale ripresa di un'iniziativa militare. Le accoglienze furono talmente entusiaste da convincerlo a guidare una nuova spedizione al grido di “Roma o morte”. Il nuovo Regno, già impegnato nella repressione del brigantaggio, non era favorevole alla ripresa di una politica di espansione, o almeno non prima di aver messo sotto controllo il Mezzogiorno. Il Re pubblicò così un proclama in cui condannò le "colpevoli impazienze" di chi voleva accelerare i tempi di conquista della città simbolo del Risorgimento. Negli stessi giorni Rattazzi proclamava in tutta la Sicilia lo stato d'assedio, affidando nelle mani di La Marmora e Cialdini, i due più importanti militari italiani, l’intera zona del sud.

IL FERIMENTO - Il 25 agosto 1862, i volontari garibaldini sbarcano alla testa di tremila uomini in Calabria. Appena presero terra ed imboccarono la strada verso Reggio Calabria furono bombardati da una corazzata della Marina Regia, mentre le avanguardie subirono colpi di fucile, tanto da spingere Garibaldi a correre per l'Aspromonte. La sera del 28 agosto 1862 la colonna raggiunse Sant'Eufemia d'Aspromonte. Nel frattempo si era ridotta a causa delle diserzioni e degli arresti.

Il 29 agosto Garibaldi venne informato dell'arrivo di una grande colonna del Regio Esercito. Schierò i suoi uomini sull'orlo di un bosco: 3.500 volontari in attesa della marcia di avvicinamento dei Bersaglieri, guidati dal Generale Pallavicini. Lo scontro a fuoco fu inevitabile. A quel punto Garibaldi corse di fronte alla propria linea e chiese il cessate il fuoco: “Non fate fuoco. Sono nostri fratelli”, gridò. Il grosso dei volontari lo ubbidì, ma la contesa armata non cessò del tutto e ‘l’Eroe dei due Mondi’, in piedi, allo scoperto fra le linee, fu ferito.

Lo scontro durò poco, ma abbastanza per causare la morte di sette garibaldini e cinque 'regolari'. Ferito, curato e preso agli arresti, il Generale venne destinato al Varignano, un penitenziario che ospitava 250 condannati ai lavori forzati. Dei circa 3.000 volontari, solo alcune centinaia fuggirono. Furono arrestati 1909 garibaldini, riaccompagnati a casa 232 minorenni, mentre i militi che avevano abbandonato i loro reparti regolari per unirsi a Garibaldi furono rinchiusi nelle fortezze sarde. Saranno amnistiati con il matrimonio di Maria Pia di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, con il re del Portogallo.

ARRESTI, ECCIDI, RIVOLTE - Le autorità militari in Sicilia attuarono, conseguentemente ai fatti di Aspromonte, una “caccia al garibaldino”. A Fantina, in provincia di Messina, i soldati del 47° Reggimento fanteria agli ordini del maggiore Giuseppe De Villata, fucilarono sette giovani: Giovanni Balestra, Costante Bianchi, sergente del 25º battaglione bersaglieri; Giovanni Botteri, passato dall'Esercito alla spedizione garibaldina; Giovanni Cerretti, bersagliere del 25º battaglione; Barnaba della Momma, bersagliere; Ulisse Grazioli ed Ernesto Pensieri, di Parma.

Questi ed altri eventi fecero riemergere tutti i vecchi rancori del quadro risorgimentale. Il partito mazziniano dichiarò tradito l'accordo fra i repubblicani e la monarchia, mentre per i monarchici erano stati i mazziniani ad aver aggirato la missione con le loro iniziative avventate. Il governo venne accusato di aver combattuto "per il Papa" e di aver tradito la causa italiana.

Dimessosi Rattazzi, dopo il brevissimo governo Farini, nel 1863 il Re incaricò Marco Minghetti. Bolognese, moderato, negoziò la convenzione franco-italiana del 1864. Il Regno d'Italia si impegnò a rispettare l'indipendenza del “Patrimonio di San Pietro” e difenderlo, anche con la forza, da ogni attacco dall'esterno. Napoleone III si convinse a ritirare le sue truppe entro due anni, in modo da lasciare all'esercito pontificio il tempo di organizzarsi. La convenzione intuì il bisogno di eliminare ogni presenza militare francese, che a sua volta si impegnò a non intervenire in caso il potere temporale fosse stato rovesciato da un movimento popolare (i fatti della Repubblica Romana del 1849 non erano lontani).

La convenzione includeva anche una clausola inizialmente segreta: il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Ciò causò un altro bagno di sangue: il 21 e il 22 settembre del 1864 gli allievi Carabinieri del Regio Esercito compirono una strage per reprimere la protesta di torinesi che manifestavano per opporsi allo spostamento: 47 morti a Piazza San Carlo e 15 a Piazza Castello. Il Re spodestò Minghetti, sostituendolo con Alfonso La Marmora. Quest'ultimo ufficializzò il passaggio della Capitale a Firenze, il 3 febbraio 1865.

Leggi anche:  L’addio a Torino Capitale. La strage (sconosciuta) del settembre 1864

IL RITORNO - Solo cinque anni dopo, cavalcando la popolarità della vittoria di Bezzecca, Garibaldi tentò di riprendere Roma, ma fu sconfitto nella battaglia di Mentana. La 'questione romana' si risolse il 20 settembre 1870 quando, sconfitto Napoleone III dai Prussiani nella battaglia di Sedan e proclamata in Francia la repubblica, il corpo d'armata al comando di Cadorna entrò a Porta Pia.

NASCITA DI UN PENSIERO POLITICO - Lo scontro tra garibaldini ed Esercito Regio sull’Aspromonte è una traccia dolorosa del percorso unitario. Le battaglie per l’Unità furono anche battaglie tra italiani. Si divisero distintamente le opinioni di chi incoraggiava le riforme e la diplomazia, e chi nell'azione di popolo o militare vedeva la sola via politica. Una traccia che entrò a far parte della sinistra rivoluzionaria per diversi decenni susseguenti. L'episodio, inoltre, diede applicazione al desiderio di ordine e repressione nei confronti dell’altra Italia che tendeva a Roma con altri ideali: mazziniani, socialisti o non in linea con il pensiero monarchico e assolutistico (Re d’Italia, Papa Re).

Il caso fu il primo, in ordine di tempo, in cui due eserciti composti dai nostri compatrioti si spararono contro. Accadde drammaticamente di nuovo a Fiume, per far terminare l’impresa, e più diffusamente nella guerra civile o di liberazione, con le sue complessità ideologiche e di guerra, tra il 1943 e il 1945.

Leggi anche:  La ‘Reggenza’ dei poeti: l’Impresa di Fiume e la festa rivoluzionaria - VIDEO

(nella foto: Girolamo Induno, il ferimento di Garibaldi. Nel video: scena tratta da 'Noi credevamo', di Mario Martone)