Alberto Sordi, la grande arte di saper interpretare la storia sociale di una nazione

Pubblicato: Domenica, 24 Febbraio 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – La morte del grande attore: il 24 febbraio 2003

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''E non ci facciamo riconoscere sempre per quelli che siamo''.

Alberto Sordi è morto il 24 febbraio del 2003. Gli italiani ne sentono ancora la mancanza, perché lui li aveva capiti e descritti in modo preciso, cinico, sociologico.

Sordi ha sdrammatizzato - e al tempo stesso sottolineato - i nostri lati peggiori e migliori nel corso di un lungo dopoguerra, durante la trasformazione antropologica di un intero popolo.  La sua impronta la vedevi ovunque. In ogni suo film, in una battuta, nelle vesti più impensate. Un genio della recitazione, intimamente conservatore, che ha svariato da Moliere fino alla commedia e al drammatico.

Attraverso la sua lente abbiamo visto l'Italia delle illusioni infrante, del boom economico, dei ladri di potere, il cinismo dell'uomo qualunque, dei tanti Nando Moriconi, l'arte di arrangiarsi, l'eroismo per caso, la fantasia felliniana, la vita oziosa, la violenza della società, il Marchese burlone, i tristi anni della pensione.

In ogni pellicola abbiamo ammirato o odiato un po' di noi e della nostra storia, tra difetti e pregi, fallimenti e vittorie. Non c'è italiano che non possa dire di sentirsi rappresentato, almeno in un film, dalle sue interpretazioni. Ed è questa la sua più grande vittoria di attore. Aver visto oltre il giardino del suo tempo ed essersi immaginato situazioni, vicende, progressi e involuzioni della società anche prima di averle vissute veramente.

Sordi era romano. E lui sapeva bene cosa volesse dire vestirsi addosso questa identità. Perché colui che nasce nella Capitale non è un cittadino come gli altri: muove i primi passi e cresce tra grandi monumenti secolari, sotto l'ombra di San Pietro, del Colosseo, con l'occhio ai quartieri popolari e alle periferie, o a Villa Borghese, tra le opere di Michelangelo e Caravaggio. Girando l'angolo, può trovarsi di fronte Bernini o il Maderno.

Un peso storico che bisogna saper indossare (e non tutti ci riescono). Sordi non ha mai perso la sua romanità, con tutto il suo microcosmo, i suoi vizi, le sue virtù. Un origine che ha pagato per qualche tempo sotto la penna poco illuminata di qualche critico cinematografico, ma il suo popolo, invece, lo ha amato genuinamente come un fratello, un amico, un padre. Lui, che sapeva cosa voleva dire la gavetta, non dimenticò mai da dove veniva e per chi recitava. Una coerenza assoluta nei comportamenti, da quando aveva iniziato nelle compagnie di avanspettacolo fino a diventare il doppiatore di Oliver Hardy o a ricoprire, successivamente, i ruoli principali del suo cinema. Una conquista sudata a oltre trenta anni di età, dopo tanto lavoro e tanta esperienza. Un talento 'feroce’, capace di mandare la gente a casa con il sorriso con una sola frecciata o con gesto immortale, come quello ne ''I Vitelloni'' verso i "lavoratori della malta''.

Federico Fellini, gli esordi, la radio. Quindi De Sica, a cui Albertone deve ''Mamma mia che impressione'', il primo film da protagonista. Poi Monicelli, Nanni Loy, Giorgio Bianchi, Ettore Scola, Luigi Zampa e tanti altri registi di spessore, molto diversi tra loro. Una carriera ricca di successi.

Per questo quando morì una moltitudine di romani e di italiani si sobbarcò un'attesa fatta di ore per passargli davanti anche pochi secondi o lasciargli un fiore, una lettera, la sciarpa della sua amata Roma. Sordi stimava il popolo, non aveva vezzi, comunicava quotidianamente con la massa, ne succhiava l'anima, un tic, una particolarità, che poi, magari, gli sarebbe servita per un suo film.

Passò per un avaro, ma aiutava portatori di handicap, anziani e poveri. Lo ha fatto tutta la vita, in silenzio. "Io sono stato arricchito dalla povera gente – disse - che faceva sacrifici per venire a vedere i miei film, per questo mi sarebbe sembrato di offenderli se avessi ostentato la mia ricchezza".

La grande guerra, Tutti a casa, Una vita difficile, Polvere di stelle, Lo sceicco bianco, Tutti a casa, Un eroe dei nostri tempi, Fumo di Londra, Il vedovo, Il boom, La più bella serata della mia vita, Bello, onesto, emigrato in Australia, Un americano a Roma, Il Conte Max, Il vigile, Finché c'è guerra c'è speranza, Amore mio aiutami, Riusciranno i nostri eroi, Il medico della mutua, Un borghese piccolo piccolo, Tutti dentro, Scusi lei è favorevole o contrario?, Il Marchese del Grillo. Quante storie, quanta Italia è passata dentro a questi film...

Sordi è stato capace di prendere in giro gli americani e il loro stile di vita eccessivo, così come i russi, in piena epoca comunista. Leggendario fu un suo viaggio in Russia in cui, durante una serata con un pubblico festoso per la sua presenza, urlò al microfono: "Diteglielo a Breznev che, invece di buttare i soldi nei missili, vi comprasse a tutti lo smoking". 

Con la maturazione, poi, è stato ancora di più: uno ‘storico’ sociale della nostra Patria fino a quando le forze gli hanno dato la possibilità di farlo e fino a quando è riuscito a comprendere ed osservare quanto (e come) stavano cambiando gli italiani. Proprio per questi motivi per studiare l'Italia del passato non basteranno i libri: ci vorranno ancora i film di Albertone. E allora i curiosi si potranno rivedere il Tarzan della periferia, il borghese che sevizia l'assassino del figlio, il vigliacco quotidiano, il traffichino, il prevaricatore sociale, il signore con il complesso che diventa una virtù, il truffatore, il falso moralista, il politico improvvisato, l'amministratore ladro, il pensionato che si avvia al tramonto, il sorridente e brillante presidente di azienda, il lavoratore che fatica ogni giorno per vivere con dignità. Uomini e donne che non tramonteranno mai e che Sordi seppe farci vedere per quello che erano.

Alberto un giorno disse: ''Gli italiani si governano da soli''. Tra le tante attualità, questa è una delle verità più assolute.