10/2/1944: il bombardamento di Propaganda Fide a Castel Gandolfo. La strage degli sfollati dei Castelli in zona neutrale

Pubblicato: Domenica, 10 Febbraio 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – L’Associazione Familiari delle vittime ha inserito nel suo statuto la richiesta all’Aia di crimine di guerra. L’incursione anglomaricana fece almeno 500 morti

ilmamilio.it

Luciano Mariani, nelle preziose memorie raccolte dall’Associazione Familiari delle vittime di Propaganda Fide (www.10febbraio1944.it/), ha raccontato che quel giorno “ognuno scavava con le mani, in quell’inferno di macerie".

La mattina del 10 gennaio 1944 tirava tramontana. Nel cielo cominciarono ad apparire le formazioni di bombardieri americani che si dirigevano verso il mare: Anzio, Pratica di Mare, Nettuno. Al secondo passaggio gli aerei virarono verso il lago di Castel Gandolfo. Iniziò così la drammatica incursione di guerra che devastò Propaganda Fide. Lasciò dietro di sé un’aria irrespirabile e un oscuro polverone che quando si diradò non fece altro che svelare uno scenario apocalittico. Ovunque morti, brandelli di membra umane sparse sul terreno, feriti, lamenti, grida, pianti. L’Arciprete Don Dino Sella aiutò instancabilmente feriti e orfani. Si adoperò per il pietoso riconoscimento delle salme e la loro sepoltura. Il Parroco di Albano e tanti religiosi, medici e civili aiutarono i sopravvissuti scavando con le mani, prestando soccorso, confortando il dolore diffuso.

Il bombardamento anglo-americano del Collegio di Propaganda Fide è stato uno dei più terribili fatti della seconda guerra mondiale nei Castelli Romani. Dopo l’8 settembre 1943 e l’inizio dell’occupazione tedesca, lo sbarco di Anzio e i primi bombardamenti nel Lazio e nei Castelli Romani, la popolazione civile iniziò a cercare dei rifugi sicuri. Chi riparò nelle grotte, come a Rocca di Papa o Marino, oppure nei luoghi sotterranei o in quelli antiarei. Molti abitanti di Castel Gandolfo ed Albano Laziale finirono all’interno del complesso delle Ville annesse al Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. Circa cinquanta ettari riconosciuti ‘zona extra-territoriale’ dall’Italia dopo i Patti lateranensi del 1929. Nella logica l’intera area apparteneva alla nazione neutrale dello Stato della Città del Vaticano. Gli alleati riconobbero questo aspetto, i tedeschi violarono invece i confini pontifici per effettuare retate di oppositori politici. Quasi 12mila persone trovarono protezione all’interno del complesso delle Ville Pontificie, a Villa Barberini, la villa del Collegio di Propaganda Fide, l’annessa Chiesa di Santa Maria Assunta.

In una lettera di rassicurazione a papa Pio XII, del 4 luglio 1944, Franklin Delano Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d'America, aveva scritto: “Le chiese e le istituzioni religiose saranno, per quanto dipende da noi, risparmiate dalle devastazioni belliche nella lotta che ci sta davanti. Durante il periodo delle operazioni militari, la posizione di neutralità della Città del Vaticano, come pure i possedimenti pontifici in Italia, saranno rispettati”. Dentro il territorio della Villa Pontificia, proprio per questo senso di conservazione rispetto alla devastazione che già percorreva la nazione, furono approntati l’ospedale da campo e numerose tendopoli per gli sfollati.

La vita, nonostante il tempo di guerra, cercava di riprendere i suoi ritmi: alcuni agricoltori avevano portato con sé delle vacche, così da assicurare il latte per anziani e sopratutto i bambini. Gli sfollati ricoverati si sentivano al sicuro, poiché ritenevano che essendo territorio del Vaticano, nessun bombardamento li avrebbe colpiti. Sullo scalone del Palazzo del Papa c’erano ovunque materassi e giacigli approntati di fortuna: una moltitudine di persone, soprattutto vecchi e bambini, con le loro madri, affollavano quei luoghi. Alcuni bimbi nacquero durante lo sfollamento. Furono chiamati Pio o Eugenio, in onore di Papa Pacelli.

La morte intanto aleggiava in tutto il territorio. Al di là del bombardamento dell’8 settembre 1943 a Frascati e a Grottaferrata altre incursioni stavano creando morte e distruzione. Il 30 gennaio 1944 Genzano venne sconvolta dal primo bombardamento aereo alleato; due giorni dopo furono colpite Albano Laziale ed Ariccia, poi Marino.

E’ il prologo della tragedia.

Il 10 febbraio, tra le ore 9 e le 10 del mattino, i bombardieri alleati in due ondate colpirono gli immobili del Vaticano creando il caos, lo sgomento, la sorpresa e la paura tra i civili. Non è stato mai possibile calcolare con esattezza il numero delle vittime. L’allora responsabile delle Ville Pontificie, Emilio Bonomelli, dichiarò che c’erano state oltre 500 vittime. Altri testimoni parlano di 700 vittime, altri di una cifra superiore ai mille.  L'Associazione Famigliari Vittime di “Propaganda Fide” ha nel suo statuto l’obiettivo di far proclamare il bombardamento del 10 febbraio 1944 crimine di guerra dalla Corte Internazionale dell’Aia.

La Santa Sede, nei giorni seguenti il tremendo evento, protestò. Nella Villa Pontificia non c’erano tedeschi, ma esclusivamente cittadini italiani raccolti perché speravano di poter essere difesi dalla qualifica di extraterritorialità. Ma neanche al Vaticano fu possibile ignorare quanto gli alleati sostenevano da tempo, vale a dire che non si potevano creare ‘santuari’ nei territori di guerra perché se ne sarebbe avvantaggiato il nemico.

Il professor Giorgio Badiali ha rammentato nelle sue memorie: “Quello che c’era intorno è difficile da descrivere: enormi crateri, travi, macerie, morti, feriti, una donna che, senza una gamba, chiedeva di essere soccorsa. Se ripenso a quei giorni, rivedo tutte quelle povere vittime, disseppellite e allineate ovunque, in attesa che qualcuno le riconoscesse. (...) E noi che transitavamo fra quelle macabre quinte, con in mano le nostre povere cose, gli occhi fissi in avanti, ansiosi solo di uscire da quell’inferno. Qualche sguardo furtivo indugiava su quei poveri corpi. Non potrò mai dimenticare - l’ho scolpita nella memoria - la figura di un padre con un bambino abbracciato al collo, coperti di polvere e di calcinacci, a stento riconoscibili. Se dovessi mettere un’immagine davanti a questa storia, ecco come la vedrei”.

Nei giorni seguenti la vita dei sopravvissuti fu durissima. Alcuni si rifugiarono nelle grotte di origine vulcanica presso il lago. Si accamparono lì, con una quotidianità di stenti. Ognuno si arrangiò come poteva, per rimediare sopratutto da mangiare. Si pensava comunque al futuro mentre il problema diventò il vivere ora per ora. Fu il balzo psicologico per sopraffare l’angoscia continua, mentre si era privi di tutto. Viste le circostanze, inoltre, il Vaticano comunicò che non era più in grado di sovvenire ai bisogni di tutti. La popolazione di Castel Gandolfo costituiva già un onere notevole e diversi cittadini di Albano dovettero di nuovo sfollare, cercare ancora, errare per trovare un posto in cui continuare a sopravvivere.

Poi arrivarono gli alleati, il 4-5 Giugno del 1944, e lentamente riprese la ricostruzione materiale mentre quella delle vite fu più complicata, specie in chi era rimasto inorridito da quei momento o chi aveva perso dei familiari. L’esistenza riprese, come accade per tutte le condizioni umane del mondo. Il Bombardamento di Propaganda Fide si trasformò così in un fatto storico, ma non troppo ricordato dai libri di storia. Le popolazioni locali, al contrario, non hanno mai smesso di ricordare.

Fu un evento inoltre poco indagato storicamente (come tutti quelli che non avvennero nelle grandi città). Ebbe, probabilmente, nella sua strategica bellica, anche un obiettivo politico. Ma Propaganda Fide fu anche una strage compiuta in territorio neutrale.  Un episodio, al di là di tutto e delle varie interpretazioni, che insegna ancora l’orrore e la parte peggiore del Novecento.