Luciano Re Cecconi, il ricordo indelebile e quella corsa interrotta nell’Italia della paura

Pubblicato: Venerdì, 18 Gennaio 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 18 gennaio 1977 la morte tragica del giocatore della Lazio del primo leggendario scudetto

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La sua maglia biancoceleste era pura. Niente scritte, niente sponsor, niente cromatismi azzardati. Luciano Re Cecconi sfrecciava via sul prato dell’Olimpico di Roma e suonava la carica nei momenti difficili. Talvolta risolveva le gare (storico un suo gol oltre il novantesimo al Milan nell’anno del primo storico scudetto).

La sua chioma bionda, degna di una figura del mito nordico, ondeggiava in mezzo al campo. Un faro che illuminava. Il popolo dell’Aquila, per questo spirito, lo aveva adottato e lo adorava. La sua Lazio era quella dei cuor di leone. La battaglia dentro lo spogliatoio e fuori, i pugni in allenamento e sotto la doccia, le porte sfondate a calci, Chinaglia e Wilson di qua, Re Cecconi e Martini di là, due rose e due allenamenti. Le partite in casa tirate fino a tardi per trovare un pareggio. Il salomonico Tommaso Maestrelli a far mille volte da papà, da paciere, sempre lì a serrare le varie anime di una squadra pazza che al momento di calcare un qualsiasi rettangolo d’Italia, fosse a Milano o a Foggia, si trasformava.

Gruppo a dir poco anomalo, quella Lazio. Un esaltante clima che portò questa realtà a diventare Campione d’Italia nel 1974 fu destinato a rompersi relativamente presto e ad avviarsi verso una serie di tragedie che si materializzarono tra stupore e incredulità.

Il 18 gennaio 1977 tre uomini entrano in una gioielleria del quartiere Collina Fleming, a Roma. Sono Re Cecconi, il compagno di squadra Pietro Ghedin e il profumiere Giorgio Fraticcioli. Si recano nella gioielleria di Bruno Tabocchini. Il commerciante, in circostanze che negli ultimi anni sono state materia di studi ed indagini senza però risolvere e trovare una verità precisa, afferra la pistola e spara. A terra, ferito a morte, rimane il corpo di Luciano, il cui cuore cesserà di battere alle ore 20.04 in ospedale.

La prima versione è quella di uno scherzo drammaticamente riuscito male. Tabocchini aveva subito altre rapine, era un uomo provato da altri atti criminali. Fu arrestato e accusato di "eccesso colposo di legittima difesa”. Venne assolto per "aver sparato per legittima difesa putativa". Negli ultimi anni, anche attraverso delle pubblicazioni, l’ipotesi ufficiale è stata nuovamente scandagliata, approfondita, persino messa in dubbio. Da ricordare due libri in particolare: “Aveva un volto bianco e tirato. Il caso Re Cecconi” di Guy Chiappaventi e "Non scherzo. Re Cecconi 1977, la verità calpestata" di Maurizio Martucci.

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Il resto è il ricordo di un ragazzo che aveva tanta voglia di vivere. Era un padre di famiglia e un atleta generoso. Lo dimostrava ogni qual volta scendeva con la palla al piede a macinare chilometri, a sradicare dai piedi tanti palloni agli avversari e rimetterli agli attaccanti, alle punte, ai compagni di gioco. Morì in un’Italia dall’atmosfera torbida, un porto della disperazione, una nazione in cui ormai il terrore, nelle sue forme generalizzate, aveva preso piede creando dei mostri insospettabili. E nella follia di tutta questa storia di ordinaria violenza metropolitana, c’è tutta la sintesi di un anno tra i più gravi della nostra storia nazionale, il 1977, che precede quello del delitto Moro.

Il ’77 è il rovesciamento del 1968. Un anno di incredibile violenza: la cacciata di Lama dall’Università da parte degli autonomi, gli Indiani Metropolitani, la morte (ancora oggi senza colpevoli) di Giorgiana Masi su Ponte Garibaldi (Leggi: 12 maggio 1977: l’omicidio di Giorgiana Masi. “Se l’averti conosciuta diventasse la mia forza...”), quella di Walter Rossi sempre a Roma, di Francesco Lorusso a Bologna, dell'agente Antonio Custrà. Al cinema faceva gran parlare di sé il filone poliziottesco. Non è un caso che sia di questi tempi lo straordinario 'Un borghese piccolo piccolo' di Mario Monicelli. Oltre duemila attentati politici, una trentina di gambizzati, una dozzina di morti, atti di terrorismo, rapine a banche e gioiellerie all’ordine del giorno. Un clima persino difficile da spiegare a chi non lo ha vissuto.

Luciano Re Cecconi era detto ''Il saggio''. Aveva sempre una buona parola. Era diverso dal clima del suo tempo. Un tempo che interruppe la sua corsa.

Il suo ultimo gol lo fece il 3 ottobre del 1976 allo stadio Olimpico contro la Juventus. Fu una perla da antologia calcistica. Un'incursione in area su lancio di Vincenzo D’Amico, un dribbling e quindi un tiro di esterno destro all’angolo.

Oggi condivide con un altro giocatore dalla fine tragica, Agostino di Bartolomei, capitano della Roma dello scudetto 1982-1983, uno dei tracciati di Villa Lais nel quartiere Tuscolano.

Le due strade sono vicine, si incontrano.