Sibilla Aleramo: letteratura e sentimenti della prima scrittrice 'femminista' del Novecento

Pubblicato: Domenica, 13 Gennaio 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Muore il 13 gennaio 1960 l’autrice discussa e controversa che all’inizio del Novecento segnò un primo passo dell’emancipazione con il suo ‘Una donna’

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Sibilla Aleramo, pseudonimo di Marta Felicina Faccio detta "Rina” (Alessandria, 14 agosto 1876 – Roma, 13 gennaio 1960), ebbe una vita piena di eventi, di sofferenze, di riflessioni, di arte, letteratura, impegno civile, poesia.

Non fu una donna del suo tempo, ma una donna del futuro. Essere avanti oltre un secolo fa, essere autrice del ‘primo romanzo femminista italiano’, come si è scritto più volte, non deve essere stato facile. E non deve essere stato facile mettersi continuamente in gioco, proprio in quanto donna, in una foresta culturale piena di uomini e in cui nell'altra metà del cielo era più complesso emergere, dotarsi di autonomia, essere autorevoli.

Figlia di Ambrogio, un professore di scienze, e di Ernesta Cottino, casalinga, Sibilla trascorse l'infanzia a Milano fino all'età di dodici anni quando interruppe gli studi per il trasferimento della famiglia a Civitanova Marche, dove il padre assunse la direzione di un’azienda industriale. La madre di 'Rina', sofferente di depressione, tentò il suicidio gettandosi dal balcone di casa. Pochi anni dopo fu ricoverata nel manicomio di Macerata, dove morì nel 1917. A quindici anni Rina subì una violenza carnale da un impiegato della fabbrica: rimase incinta, perse il bambino. Fu costretta comunque a un matrimonio di riparazione.

Visse in questo modo l’esperienza che le segnerà la vita, ma che le metterà davanti anche la sua opportunità di riscatto proprio risorgendo da questo malessere. Conobbe una convivenza infelice in un ambiente provinciale e nacque il suo primo figlio: Walter. Tentò, anche lei, di porre fine autonomamente alla sua esistenza, ma poi decise di rialzare la testa e si gettò nell’impegno a realizzare nuove aspirazioni attraverso la lettura e i primi di articoli nella ‘Gazzetta letteraria’, la rivista femminista ‘Vita moderna’ o nel periodico di ispirazione socialista ‘Vita internazionale’. Il suo impegno si concretizzò nel tentativo di costituire sezioni del movimento delle donne e a partecipare alle manifestazioni per il diritto di voto e la lotta contro la prostituzione.

Nel 1899, proprio nel periodo in cui Bava Beccaris aveva appena compiuto una strage tirando cannonate sugli operai che chiedevano pane (1898), si trasferì a Milano assieme al marito che aveva avviato un'attività commerciale. E’ un’occasione nuova: le viene affidata la direzione del settimanale ‘L'Italia femminile’ e iniziò la sua collaborazione intellettuale con Giovanni Cena, Paolo Mantegazza, Matilde Serao, Anna Kuliscioff. 

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All’inizio del Novecento i rapporti familiari, ormai compromessi, la portarono ad abbandonare marito e figlio per trasferirsi a Roma. Si legò sentimentalmente a Giovanni Cena, direttore della rivista ‘Nuova Antologia’, e scrisse il romanzo ‘Una donna’, pubblicato sotto lo pseudonimo, per la prima volta, di Sibilla Aleramo. Il nome le fu suggerito dallo stesso Cena, che trasse il cognome, Aleramo, dalla poesia ‘Piemonte’ del Carducci (“Cuneo possente e pazïente, e al vago declivio il dolce Mondoví ridente, e l'esultante di castella e vigne suol d'Aleramo...”).

‘Una donna’ ancora oggi è una testimonianza di ribellione alle imposizioni sociali di una vita comune e simile a tante donne italiane. E’ stato considerato - dicevamo - il “primo romanzo femminista”, ove l’autrice mise in mostra il suo rifiuto della cultura patriarcale, della moglie e mamma accantonata ed ubbidiente. Un inno contro ogni convenzione. Ma al suo interno si possono trovare la violenza fisica, quella psicologica, il ruolo della madre, il rapporti con il figlio. Un testo di emancipazione, pubblicato nel 1906, poi tradotto in sette lingue.

Correva, Sibilla, per scappare da qualcosa, oppure per raggiungere altro. Dal movimento femminista si distaccò, giudicandolo in seguito “un’avventura, eroica all'inizio, grottesca sul finire, un'avventura da adolescenti, inevitabile ed ormai superata”. Il suo obiettivo era guardare addirittura oltre, alla stessa diversità femminile nella società e nell’arte: “Se la donna perverrà a renderlo – diceva - sarà, certo, con movenze nuove, con scatti, con brividi, con pause, con trapassi, con vortici sconosciuti alla poesia maschile”.

L’AGRO ROMANO E I CASTELLI ROMANI: LA SCUOLA DEI CONTADINI - All’inizio del Novecento, a Roma l'Unione Femminile Nazionale organizzava attività di volontariato nella campagna romana per la gestione di corsi domenicali di istruzione femminile. Proprio la Aleramo, assieme ad Anna e Angelo Celli, Giovanni Cena e Alessandro Marcucci avevano introdotto delle scuole ‘ambulanti’, con tanto di cattedra e armadio trasportabile, che consentiva di fare lezione all'aperto con pallottoliere, carte geografiche e lavagna. C’era tutto il necessario. Lì dove mancava tanto, non poteva mancare la cultura per riscattarsi.

Fu un moto di liberazione che nel 1911 portò l'amministrazione Nathan ad investire fondi cospicui in arte e cultura. Proprio nel 1911 cominciò la collaborazione tra Maria Montessori  e il Comune con un programma finalizzato ad estendere le Case dei Bambini. Sempre nello stesso anno il Comitato delle Scuole di Roma organizzò una esposizione didattico-artistica presieduta dall'ex presidente del consiglio Luigi Luzzati che aveva sostenuto la Legge 487/1911 per l'istruzione popolare per combattere lo sfruttamento del lavoro minorile.

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Tra queste esperienze nuove, va annoverata, nei Castelli Romani, anche la Scuola dei Contadini. Cena, Aleramo, i coniugi Celli e Marcucci si dedicarono all’istruzione delle masse povere, inaugurando dal 1910 settanta scuole per contadini, tra cui, nel 1912, quella della frazione 'Colle di Fuori' a Rocca Priora, il primo edificio scolastico rurale della campagna capitolina. Terminato infatti il periodo delle prime classi, sorte all'interno di vere e proprie capanne, era nata la necessità di realizzare un immobile, progettato dallo stesso Marcucci, che ne diresse i lavori, e che fu arricchito anche dai lavori dall’artista Duilio Cambellotti, il quale si occupò delle decorazioni. All'epoca dei fatti l'arrivo dell'istruzione infantile fu una reale svolta sociale. Dove esisteva spesso una quotidianità di privazioni, la scuola significò protezione e redenzione. Un luogo di vita e di crescita civile.

UNA STORIA, TANTI RISCHI, VIAGGI INVERSI - Sibilla Aleramo si stabilì ancora Milano e si avvicinò a Futuristi, come avevamo accennato. A Parigi conobbe Guillaume Apollinaire. Ebbe numerose relazioni sentimentali. Nota quella con Dino Campana, poeta luminoso e complesso, con cui ebbe un’intensa e drammatica storia umana raccontata anche in un film, "Un viaggio chiamato amore", per la regia di Michele Placido.

Quando è riconosciuta come una donna bella, elegante e colta, un elenco di artisti le affolla l’esistenza. Senza mai aderire a correnti o pensieri alla moda, riesce a stare al centro delle situazioni. Scrive, molto, di sé e degli amanti: Cardarelli, Boccioni, Quasimodo. Si innamorò anche di Lina Poletti, una delle prime donne in Italia a dichiarare apertamente la propria omosessualità. Sibilla, che parlava di riformare la coscienza dell’uomo e creare quella della donna, era libera in un tempo in cui non si era pronti. Negli anni successivi a queste esperienze personali escono altre pubblicazioni: ‘Poesie’, ‘Gioie d'occasione’. All’ avvento del fascismo, fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce del 1° Maggio del 1925.  

Il tempo passa. A metà degli anni trenta l'autrice nata ad Alessandria ha 60 anni. E’ famosa, certo, ma il tempo dei tanti incontri è cambiato. I suoi romanzi non vendono più come una volta. Vive modestamente. Sono periodi in cui o si è allineati o ci si oppone al regime fascista. Anni di esilio e di confino, per alcuni. Ma tanti scelgono solo di campare. Il nome della Aleramo risulta tra quelli che furono aiutati dal governo, tramite compenso mensile o saltuario. Non fu l’unica. Qualcuno, una volta caduto Mussolini, corse a cancellare le tracce di quel passaggio. Per cambiare ancora pelle.

Di Sibilla si è detto che fu femminista, pacifista, persino filofascista. Fu comunista, nel dopoguerra. Palmiro Togliatti la accolse nel Pci. Percorse così il suo ultimo viaggio intellettuale. Vennero ripubblicati i suoi romanzi, come giornalista tornò autorevole su ‘L’Unità’ e ‘Noi Donne’. Negli ultimi anni della sua vita se ne andrà nelle sezioni del partito a leggere le sue poesie, tra il popolo. In fondo, proprio sul finire, si era 'reinventata' riprendendo una motivazione che anni addietro l’aveva entusiasmata in una delle più interessanti prove della cultura italiana, ovvero quando le scuole dei contadini erano viatico di liberazione.

Aleramo fu donna d’avanguardia e di sofferenze, di amori, di contraddizioni e di impegno per il riscatto sociale degli ultimi e delle donne. Di sicuro fece tutto rischiando, in libertà. “Alfine mi riconquistavo – scrisse - alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d’incontaminato, di bello”.