2 Gennaio 1960: muore Fausto Coppi. Il romanzo popolare di un’Italia coraggiosa

Pubblicato: Mercoledì, 02 Gennaio 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Il 2 gennaio 1960 muore di malaria il Campionissimo. Il suo mito è rimasto tale. 

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Fausto Coppi ha superato lo spazio e il tempo. La morte, che lo colse all’improvviso, lo ha lasciato eternamente giovane.

La sua straordinaria esperienza di sportivo, in un’Italia coraggiosa e piena di speranza, terminò il 2 gennaio 1960, alle 8,45. In quell’istante l'Airone chiuse le ali. Morì per una febbre malarica. Sarebbe bastato il chinino, la stessa cura che aveva salvato l'amico ciclista, Raphael Geminiani, il francese che aveva organizzato nel dicembre del 1959 - con lui - il viaggio nell'Alto Volta (oggi Burkina Faso), per salvarlo. Non fu così. Coppi aveva partecipato alla corsa e poi a una battuta di caccia nella boscaglia attorno a Ouagadougou, dove aveva contratto la mortale malattia da cui era scampato durante la guerra, fresco vincitore del suo primo Giro d'Italia.

Rimase, alla fine di tutto, il mito che aveva raccolto in tanti anni di carriera cinque Giri d’Italia (1940, 1947, 1949, 1952, 1953), due Tour de France (1949, 1952), un campionato del mondo (1953), tre Milano-Sanremo (1946, 1948, 1949), cinque Giri di Lombardia (1946, 1947, 1948, 1949, 1954), una Parigi-Roubaix (1950), una Freccia Vallone (1950), quattro campionati italiani (1942, 1947, 1949, 1955).

Figlio di Domenico, contadino e sensale dei vini, e di Angiolina, Coppi cominciò a salire sulla bicicletta per consegnare i prodotti di una salumeria. Si innamorò gradualmente delle due ruote e iniziò ad utilizzarlo per gareggiare. Ottenne la prima vittoria nella Castelletto d’Orba-Alessandria. Scoperto da Biagio Cavanna, storico massaggiatore di Costante Girardengo, venne poi ingaggiato della Legnano per 700 lire al mese con un ruolo umile e di rispetto: gregario del grande Gino Bartali. Il 9 giugno 1940 Coppi vinse a 20 anni il suo primo Giro d’Italia, ma non ebbe fortuna: il giorno dopo Benito Mussolini dichiarò guerra a Francia e Gran Bretagna. Una carriera spezzata dal secondo conflitto bellico. Poi la prigionia, la malattia, il ritorno a casa. Finì a Caserta, in un campo della R.A.F., dove gli alleati gli consentirono di uscire in bicicletta per allenarsi qualche ora.

Un giorno lo vennero a prelevare. Sul camioncino, vestiti da corridori, quattro uomini, tra cui Bartali. ''Siamo venuti a prenderti, ce l’hai una bicicletta?'', gli disse Gino. ''Magari potessi venire, la bicicletta ce l’ho ma sono sempre un prigioniero''. Dopo qualche trattativa, gli alleati diedero il permesso. Così Fausto tornò a correre, il 22 novembre del 1945, a Sestri Ponente. La vita ripartì da lì. Poco dopo sposò Bruna Ciampolini, dalla quale ebbe una figlia, Marina, nata nel 1947, lo stesso anno in cui riconquistò il Giro d’Italia.

Coppi tornò a vincere. Con Bartali prese corpo una rivalità esclusivamente sportiva in cui gli italiani si riconobbero. Un duello amichevole tra due uomini perbene, che si stimavano reciprocamente.

DAI CASTELLI AL TOUR DE FRANCE - Nel 1949 Coppi riesce a realizzare la sua indimenticabile doppietta: Giro e Tour. Il suo mito alimentò fantasie e cronache. Un giorno la sua leggenda accarezza anche i colli dei Castelli romani. E' il 22 maggio del 1952 e si corre la cronometro Roma - Rocca di Papa: 35 chilometri coperti dal Campionissimo in un'ora e un minuto. La cronaca racconta che la gara, con arrivo sulla ''vetta dei 700 metri'' lanciò in orbita Coppi, ''capace di imporre un ritmo indiavolato alla frazione e di relegare l'ottimo Astrua, ancora maglia rosa, a 32 secondi".

Dopo il quinto successo al Giro, nel 1953 Coppi ottiene il titolo mondiale a Lugano. Da questo momento in poi la sua vita viene messa in discussione per la sua storia d’amore con Giulia Occhini, soprannominata “la Dama Bianca”. La donna ha già due figli. Quando i due decidono di convivere, lo scandalo scoppia in modo dirompente in un’Italia decisamente bigotta. La notte fra il 25 e il 26 agosto del 1954, Giulia viene arrestata dai carabinieri per adulterio. La nazione si divide tra innocentisti e colpevolisti e la vicenda diventa politica. Nel marzo del 1955 il tribunale di Alessandria condanna Coppi a due mesi di detenzione con la condizionale, la Occhini a tre. Nel maggio del 1955 nasce Faustino, il figlio della coppia.

Intanto per Coppi si avvicina la fine della carriera. Dove le forze non arrivano più, lo spinge la classe. L’orgoglio e la passione lo tirano sulla cima. Decide che il 1960, a 40 anni, è l'ultima stagione da professionista. La morte lo coglie quando non dovrebbe, nel mezzo del cammino. Gli italiani rimasero così orfani di un simbolo in cui rispecchiarsi, l’esempio di quell’Italia che faticava, prendeva salite faticose ed arrivava a risultati inimmaginabili pochi anni prima, durante la distruzione del conflitto bellico. 

Un ciclismo massacrante e indimenticato, quello del mitico Airone: strade sterrate, nessuna comodità. Fatica, passione, riscatto. Andare e pedalare per abbreviare l'agonia, andare e pedalare per provare a essere qualcosa, qualcuno. Su questi pezzi.di ferro e gomma si correva verso la meta e si entusiasmava un popolo intero, un popolo che come i suoi eroi andava verso un traguardo: quello della rinascita e della vita.  

Coppi tagliava l'aria e vinceva. Coppi cadeva e si rialzava. Si metteva in piedi e avanzava tra la gente che lo aspettava per ore. Pochi uomini dello sport, nel mondo, sono riusciti a restare dentro alla memoria collettiva così splendidamente integri.

I tanti italiani che ancora lo ricordano e ne amano le gesta lo sapevano e lo sanno bene. Per tutti loro è ancora il Campionissimo, uno di quegli atleti che hanno segnato un’epoca come il suo amico-rivale Bartali, Fiorenzo Magni o coloro che fecero parte di quella generazione di corridori che circolavano su biciclette pesanti, strade sterrate e polvere, stimolando le fantasie e l’immaginario di milioni di appassionati.