Bernardo Bertolucci, il figlio del poeta che arrivò all’Oscar passando per certe luci e certe ombre

Pubblicato: Lunedì, 26 Novembre 2018 - Fabrizio Giusti

Si è spento a 77 anni un artista che ha portato il nome dell’Italia nel mondo

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Ha passato tante stagioni, Bernardo Bertolucci. E con lui, tutta l’Italia. Epoche di passioni, ideologie, disincanto, rassegnazione. Lui, con talento, è riuscito per tutta la carriera a far penetrare le atmosfere dello spirito del tempo di passaggio nei suoi film. Ha iniziato giovanissimo, ed è durato molto. Capita solo ai grandi il faticoso e fortunato mestiere, la capacità di mantenere alta l’asticella della considerazione.

Bertolucci è stato un gigante del Novecento, un figlio di quel tempo lì, di quel passo storico che già aveva contemplato il dopoguerra e stava tutto dentro il miracolo economico, l’ascesa industriale della nazione e le sue enormi contraddizioni sociali. Fisiologiche, ma da indagare. E’ stato poeta, documentarista, regista, produttore, autore, star internazionale, sperimentatore, protagonista del cinema d’autore, autore dei piccoli costi e delle megaproduzioni, narratore di cose della provincia e artista di respiro internazionale. Un regista da nove Oscar. Si è spento oggi all'età di 77 anni, a Roma, dopo una lunga malattia.

A Bertolucci interessavano le luci e le ombre che colpivano i suoi protagonisti, i loro sguardi, la realtà della macchina da presa che faceva succedere qualcosa. Era colto, amante della letteratura, sceglieva una strada e la seguiva ferocemente, persino rischiando il rapporto con il pubblico. In realtà faceva arte. Non era popolare, ma è riuscito arrivare a tanti. In questa sintesi che lo rendeva sofisticato e nazional-popolare, aveva una sua visione che partiva da Parma e arrivava dall’altra parte del mondo. Una consapevolezza che l’ha aiutato a percorrere le strade del mondo interpretando e raccontando ciò che più lo meravigliava e lo interessava, tormentava.

Bernardo era figlio di un grande poeta, Attilio Bertolucci, amico di Pier Paolo Pasolini e Moravia. Il suo amore per i testi letterari, le grandi scene, l’intensità, è partito qui, dentro le mura amiche. Il suo percorso cinematografico è stato affascinante. Alle prime armi assistente di Pasolini, affronta il primo film, 'La commare secca', un girato sempre in movimento tratto da un soggetto dello stesso PPP. Un titolo non a caso, riferito alla morte così come definita in un sonetto di Gioachino Belli ('e già la Commaraccia secca de strada Giulia arza er rampino'). Un film che all’epoca non piacque a tutti, ma a rivederlo oggi nasconde una poesia piena di umanità, una storia di ragazzi e ragazze, uomini e donne, un’inchiesta che si frammenta e diventa un episodio nell’episodio generale dove la prostituta uccisa non è la protagonista, ma finisce sullo sfondo in una realtà che racconta le ore, il passaggio del tempo che consuma tutto, le attese individuali poco prima del delitto. Un film collettivo sul passare umile della quotidianità piccola e piccolissima.

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Bertolucci iniziò così, appena 23enne, a scrivere con l’ardire di fare poesia con la macchina da presa. Poi arrivò 'Prima della rivoluzione', nel 1964, lavoro più maturo: un manifesto cinematografico individuale che raccontava la borghesia di fronte ai cambiamenti degli anni sessanta. E’ un impegno che vede il cambiamento nel cinema che muta radicalmente in tutte le sue forme di raccontare. Nel 1968, anno simbolo della contestazione generale, Bertolucci gira un film sessantottino, 'Partner', poi, nel 1970, è il tempo de 'Il conformista' (Moravia). Per i critici una pellicola coerente e compiuta, sicuramente emotiva e riuscita. E’ il passo prima della sua esplosione internazionale. 'Ultimo tango a Parigi', con la vicenda giudiziaria e di censure che lo anima, fino ad arrivare a medioevali roghi, crea lo scandalo e il dibattito che lo espone a tutte le cronache. Una pellicola che anni dopo portò il regista anche a richiamare le sue responsabilità nell’imporre alcune discusse scene a Maria Schneider (Bertolucci solo anni dopo ammise di sentirsi 'colpevole'). Un’opera che forse voleva essere altro, ma in cui emerse, alla fine, come spesso capita nel cinema quando il dibattito supera la visione dell’idea artistica, esclusivamente trasgressione e sesso come unico punto di riferimento. Siamo in un periodo che anticipa un ‘filmone’, per dimensioni e protagonisti - ovvero 'Novecento - che incontra il dominio culturale della sinistra di quegli anni, ma che si impone come una tappa fondamentale. Una grande impresa con intenti hollywoodiani che riuscì a raccontare mezzo secolo di storia padana facendo leva su retorica, una forza, un'emozione e una ambizione che restano, tutte assieme, un momento simbolico della storia cinematografica sua e dell’Italia in un frammento di narrazione culturale  in cui, nelle campagne mantovane della Bassa, a Bertolucci capita di girare 'Novecento', appunto, e a Pasolini il suo scandaloso e appositamente cupo Salò. Da lì il leggendario aneddoto di una partita di calcio tra le due troupe con Pasolini ala destra, fascia di capitano e  maglia rossoblù del Bologna. Quando Salò uscirà nelle sale, nel gennaio del 1976, Pasolini sarà già morto, assassinato all’Idroscalo di Ostia.

Consacrato nell’Olimpo, Bertolucci chiude gli anni settanta con la 'La luna' e inizia gli ottanta con 'La tragedia di un uomo ridicolo'. Nel 1987 conquista nove Oscar con un film epocale, grande, creativo, 'L'ultimo imperatore'. E' il coronamento di una lunga sfida. L’ultima stagione del regista è in realtà un periodo ampio e molto variegato. Filma 'Io ballo da sola', 'Il té nel deserto', 'Piccolo Buddha', 'L’assedio'. All’inizio del nuovo millennio torna sul '68 con la storia di tre ragazzi che scoprono il sesso, l'erotismo e la politica in 'The Dreamers'. Poi l'avanzare della malattia e la voglia di scoprire le storie private (Io e te nel 2012). L’ultimo graffio.

L’itinerario del poeta, del regista, del premio Oscar, si è avviato alla conclusione. Non si potrà mai dire che non lasciò impronte indelebili nel suo passaggio. Da Maestro.

(nella foto: Adriana Asti in una scena di 'Prima della Rivoluzione")