9 Ottobre 1963: il terribile disastro del Vajont. La tragedia che fece scuola, ma ebbe pochi alunni

Pubblicato: Martedì, 09 Ottobre 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - 1917 vittime, forse di più. Una tragedia che ci parla da lontano

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1917 vittime. Quante storie e quante vite volate via, interrotte, spezzate. L'immane disastro del Vajont, del 9 ottobre 1963,  torna sempre, ogni volta, con lo stesso dolore. Una tragedia dell'uomo, una tragedia contro l’uomo. Una pagina angosciante che l'Italia ancora ricorda e che non deve dimenticare.

L’Italia che abbracciò il ‘boom economico’ conobbe anche le conseguenze della corsa al progresso. La diga dell’ingegner Carlo Semenza è ancora lì. Ma è a tutt’oggi è un capolavoro d'ingegneria che narra vicende di morte e di rabbia.

I morti del Vajont furono ritrovati senza vestiti, senza un volto. Di molti non rimase ‘neppure tanto’ - utilizzando un verso di Ungaretti – altri non furono mai ritrovati. Il Monte Toc, dal friulano “patoc” (“marcio”), diventò sinonimo di una strage talmente colossale da apparire irreale. Una carneficina dovuta dal tempo che non andava perso, in quegli anni, per non rimanere esclusi dalla corsa al fare, dalla produttività e dai consumi, da un paese da collegare e da innovare. Un’Italia raccontata bene dal film simbolo “Il sorpasso” (1962). Una nazione che spesso, al di là dei successi, faceva le corna, proprio come Bruno Cortona, a chi rimaneva indietro. Grande nazione l’Italia degli anni cinquanta e sessanta, certo, ma con tante macerie nascoste e un progresso disarticolato che ha creato scompensi.

L’industria nazionale aveva bisogno di elettricità. Costruire una diga sul corso del fiume Vajont poteva fornire nuovi propositi di sviluppo. Ma a volte sfidare la natura è cosa ardua. Una prima frana nel 1960 avrebbe dovuto creare un campanello d’allarme, ma la SADE (poi Enel) non ritenne di desistere. Si mantenne la diga, si mantenne l’acqua nell’enorme invaso. Si continuò a lavorare, malgrado la fragile montagna, malgrado gli allarmi di Tina Merlin, giornalista de “L’Unita”. Per questo fu portata in tribunale per disturbo della quiete, mentre la faglia a forma di “M” diventava una cicatrice profondissima. “Si era dunque nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione – raccontava - si denunciava l'esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono rendere certo tranquilli”.

Erto, Casso, Longarone. Nomi che ancora oggi evocano quella disperazione delle ore seguenti al disastro, mentre la lacrima della storia, che mai dimentica, continua a piovere sulle nostre coscienze. Ricordare è giusto. Bisogna ricordare quella moltitudine di essere umani. Individui scomparsi sotto la montagna di acqua, melma, rocce e fango alle 22,39 del 9 Ottobre 1963, mentre in molti erano davanti ai televisori per seguire la differita dell’incontro di calcio Real Madid-Glasgow Rangers.

Furono tutti tra volti da una spaventosa ondata di 270 milioni di metri cubi di acqua, fango, roccia. L'impatto con l'acqua generò tre onde: una si diresse verso l'alto, ricadde sulla frana e andò a scavare il bacino del laghetto di Massalezza; un'altra si diresse verso le sponde, la terza scavalcò la diga e precipitò nella stretta valle sottostante. L'onda d'urto dovuta allo spostamento d'aria ebbe un entità addirittura superiore a quella della bomba atomica di Hiroshima.

Ogni volta che pensi al Vajont, di rimando, e non sai neanche il perché, pensi che certe apocalissi non siano solo figlie della barbarie della guerra, dalla crudeltà dell’uomo verso il suo simile. In questo caso, come purtroppo in altri, ad uccidere fu l’inseguimento irragionevole verso una modernità reputata inarrestabile, necessaria, anche a fronte dei problemi, al calcolo di comodo o alla natura che non si piega. Anche dopo il Vajont di storie così ne abbiamo viste e raccontate altre, di diversa specie. 

Il Vajont è una strage che fece scuola - come ricordò qualcuno – ma ebbe pochi alunni.

Questa sera, intorno alle 22.39, se ne avete voglia, ricordatevi di rivolgere un pensiero alle vittime del 6 ottobre 1963. Aiuterete la memoria a mantenersi forte.