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Le storie di Elvira e Carla all'I.C. San Nilo per non dimenticare

27-01-2018

GROTTAFERRATA - Oggi la celebrazione della Giornata della Memoria presso la scuola Domenica Zampieri raccontata da due testimoni.

ilmamilio.it

La storia di Elvira Frenkel e del papà di Carla Scala sono la storia nella storia, quella storia che l’umanità ha grande difficoltà ad accettare e che oggi l’Istituto Comprensivo San Nilo di Grottaferrata , in occasione della Giornata della Memoria, ha voluto ricordare con due ospiti d’eccezione.

“Sono nata nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia – ha raccontato la testimone agli studenti delle classi terze dell’I.C. San Nilo – Il più grande campo di concentramento fascista situato in Calabria e costituito da circa 96 baracche in cui furono reclusi oltre 2000 ebrei”. Luogo oscuro e dimenticato, a cui la storiografia ha dedicato poco spazio, Ferramonti è passato alla storia come il “lager della bella sorte”. “Non era un’isola felice – ha continuato la Frenkel – come spesso lo descrivono, ma ci salvammo tutti. Quando il Maresciallo Marri, alla guida del campo, venne a sapere che stavano arrivando i tedeschi, ci fece uscire dalle baracche e ci nascose. Issò fuori dal campo una bandiera gialla e disse ai soldati tedeschi che c’era stata un’epidemia di colera. I militari si fidarono di Marri, rimasero fuori il filo spinato e noi ci salvammo.” Chissà se altre vicende, sconosciute come questa, quasi fossero “vuoti di memoria”, devono ancora essere raccontate.

La testimonianza di Carla Scala, invece, racconta la storia un uomo torinese, laureato in medicina, marito e padre di una bimba, alpino, chiamato come ufficiale  medico in Savoia e fatto prigioniero nel campo di Wietzendorf. “Quella di mio padre – ha raccontato la figlia ai ragazzi – è la storia dei militari italiani che rifiutarono il nazi-fascimo. Il loro giuramento di fedeltà, infatti, era verso il Re e nessun altro. Nonostante le condizioni in cui vivevano, malnutriti e costretti ai lavori forzati, i prigionieri erano riusciti ad avere il permesso di radunarsi per scambiarsi qualche parola. In questi incontri, ognuno di loro condivideva con gli altri le proprie competenze sentendo che la loro dignità e il loro essere uomini non erano spariti del tutto”. L’Università di Witzendorf, così fu soprannominato lo scambio culturale nel campo di concentramento, fu l’ennesimo tentativo di reagire alle atrocità della seconda guerra mondiale a cui si cerca di voltare pagina senza, tuttavia, dimenticare.

 

 



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