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Paolo Poli, il suo teatro e altre bellezze simili

20-11-2017

ACCADDE OGGI – A un anno della morte, ricordo di un gigante

Non si è mai omologato, Paolo Poli. Stravagante, colto, straordinariamente poetico, sensibile, uomo del suo tempo. Un'infanzia passata nell'amore della sua famiglia, che non lo giudicava. Padre carabiniere, madre maestra, figli dell'ottocento, di cultura laica. L'esempio di come si possa crescere attraverso la scoperta dei libri, da autodidatta. La zia che lo portava al cinema e al teatro. Dai grandi romanzi alla letteratura pornografica degli ''allegri costumi romani'', ma anche gli autori francesi. Perché la letteratura, come diceva, aiutava la profondità delle cose.

La realtà non bastava mai e non basta. Da quei testi "porcelloni" che lo incuriosivano durante l'infanzia trasse la lezione che dal male può nascere anche un bene, mentre i difetti possono diventare delle virtù. Se lo chiamavano "maestro" si scherniva. ''Io sono dottore'' diceva, rivendicando la sua laurea in letteratura francese. Ariosto, Tasso, Leopardi. Ma anche Palazzeschi, l'amato 'Pinocchio' di Collodi che considerava superiore, e a ragione, ai 'I Promessi sposi'' di Manzoni. Poi le fiabe. Si era formato qui, dentro questo humus prolifico di un'Italia oggi sempre meno studiata  e conosciuta.

Nel 1967 lo spettacolo Rita da Cascia e i problemi con la censura; l’amicizia con Moravia, gli incontri con le ‘sue’ dive, Franca Valeri, Alida Valli, e ancora Paola Borboni, Anna Magnani, Laura Betti, e poeti e letterati, cineasti, attori. Dopo un periodo di apparizione televisive, nel 1970 un suo programma 'Babau', che a rivederlo oggi farebbe impallidire la tv dei nostri giorni, viene rimandato in quanto ritenuto inopportuno. La Rai attenderà ben sei anni prima di mandarlo in onda, d'estate, ad agosto. Poli tornerà in TV 45 anni dopo per un bel programma con Pino Strabioli, 'E lasciatemi divertire', in cui in tanti, sopratutto i più giovani, scoprirono il talento di un grande attore, nascosto dalla visibilità del pubblico di massa. Ma lui, che di massa non era (per fortuna) e non poteva essere, non se ne curava. Il Teatro e i suoi interessi lo riempivano e lo completavano. Raccontava la sua omosessualità e la rendeva un fattore della vita, semplice, senza condizionamenti interiori, un orientamento, come di direbbe oggi, vissuto con serenità e condita da aneddoti sempre divertenti. Sapeva stare al mondo, Paolo Poli, sui suoi piedi e libero di ogni sovrastruttura imposta o stereotipata.

PAOLO POLI RECITA ''I FIORI''

Le luci della 'scatoletta' come la chiamava non erano fondamentali. Altro mondo, lezioni di vita. Gli piaceva la provincia, dove trovava ancora la meraviglia. Perché ancora dopo di decenni di teatro si divertiva a convertire le sensazioni di chi, diffidente, pensava di trovare un attore travestito da donna e non un grande attore, un genio, un uomo di cultura, spessore, sensibilità. Credeva nell'uomo, non era vero che fosse un antireligioso: il sacro era cosa che gli interessava sul piano culturale, degli aspetti più nascosti, nelle sue personalità ed anche delle sue leggende a cui si credeva e che influenzavano la società. Era il suo modo di affondare, anche un po' compiaciuto, sulla sorpresa di non aver un argomento da non celebrare, da non approfondire, parlando di sesso e di esperienze con una ironia inarrivabile che veniva ritmata dal suo accento e dal suo saper impostare la battuta giusta, anche utilizzando un parola politicamente scorretta (come definirsi ''frocio'' o ''finocchio'' davanti all'interlocutore). Era un essere leggero, imprevedibile, intellettuale senza aver messo le radici nel nozionismo scolastico e senza mai fartelo pesare. Lo esaltava una capacità mnemonica straordinaria. Si ricordava e recitava di getto, preciso, intuitivo, con una elasticità vocale capace di fare due personaggi diversi e perfettamente distinti nella personalità e compatibili le dialogo.

I santi lo incuriosivano. Poi l'inferno, caso mai ci fosse. ''Tutti nudi... Chiedi un fiammifero – disse in una bella giornata al teatro di Tor Bella Monaca - e con tutte le fiamme che ci sono si capisce subito che è un rimorchio''.

Paolo Poli ci manca. Forse perché abbiamo sempre più l'impressione che non sia più il tempo in cui è bello essere qualcuno in una collettività che si uniforma in una noiosa ripetitività di stereotipi compiaciuti. Egli svicolava dalla sua identità borghese. L'arte era il suo ''nascondiglio fuori della natura'' – parafrasando la splendida ''I fiori'' di Palazzeschi – e non solo: guardandolo ed ascoltandolo ci ha sempre insegnato ad essere se stessi senza somigliare a nulla. L'essere umano deve essere così, per essere libero.



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